Blue Kids, esordio alla regia di Andrea Tagliaferri, già assistente di Matteo Garrone, è un film certamente irrisolto, le cui pecche sono evidenti. I suoi punti di forza, però, e i motivi per cui trasmette uno strano fascino, sono altrettanto evidenti.
Tagliaferri sceglie una narrazione essenziale ed evocativa, spuria da qualsiasi elemento non immediatamente collegabile al presente dei due protagonisti, fratello e sorella. Il loro passato e le motivazioni alla base dei loro comportamenti e della loro condizione esistenziale, così come gli atteggiamenti e le scelte dei personaggi di contorno, sono appena accennati, lasciati all'intuito dello spettatore. Un approccio narrativo che lascia nel vago più di un momento e di un personaggio, ma che al tempo stesso isola i due protagonisti, rafforzando la sensazione di assoluta sfiducia nel presente e nel futuro, di accerchiamento e di solitudine, che traspare da ogni loro azione e, come per riflesso, da ogni elemento del film.
Blue Kids è un film pervaso di nichilismo, paradossalmente rafforzato dalla disperata vitalità e dalla forza dell’affetto reciproco che lega fratello e sorella. Se c'è un riferimento centrale della cultura popolare italiana degli ultimi decenni che ricorda le azioni dei protagonisti, quello è Zanardi, il celebre personaggio di Andrea Pazienza: il vuoto alla base della discesa autodistruttiva e amorale dei due fratelli è simile a quello dell'antieroe Zanardi, così come l'apparente nonsense delle loro azioni e la disperata vitalità che le anima.
Il senso di vuoto, il nichilismo quasi palpabile e la sensazione che il contesto sia irrimediabilmente ostile è trasmesso soprattutto dalla centralità degli ambienti, della geografia di un non meglio precisato, ma chiarissimo, nordest post-industriale, post-agricolo ed evidentemente post-benessere. Anche la fotografia, straniante e fredda, sottolinea alla stessa maniera sia l’inquietante algidità dei non luoghi sia gli sprazzi di bellezza dei paesaggi lagunari: reperti archeologici e naturali di un'epoca appena trascorsa che pare però lontanissima, asettici orizzonti industriali, motel e architetture che si fanno riflesso più immediato dei due protagonisti.
Da questo punto di vista risuona la lezione di Matteo Garrone (qui produttore), in particolare de L'imbalsamatore e del lavoro sugli elementi fisici e architettonici della periferia napoletana di Gomorra (ma l’insistenza sul valore significante dei paesaggi post-urbani è un elemento sempre piiù comune a molti e recenti film italiani, da Indivisibili di Edoardo De Angelis a La variabile umana di Bruno Oliviero).
Blue Kids è un film quasi totalmente di regia, in cui lo stile sovrasta la scrittura, e che pare affidarsi quasi totalmente alla ricerca estetica: Tagliaferri suggerisce, evoca, insinua dubbi. Su tutti, il sospetto che tra fratello e sorella ci sia una latente attrazione reciproca e incestuosa, sfogata ed esorcizzata nei rapporti occasionali. Dimostrazione di una vitalità con la quale si cerca di mascherare la disperazione.