Detto con rispetto per le signore, Philomena è il classico film per signore. Una commedia drammatica, una cosa cioè che fa ridere e fa piangere, che ha per protagonista un’anziana signora e racconta cose facilmente riconducibili al cinema per signore: figli perduti, amori impediti, maternità sofferte, viaggi di scoperta, incontri, ricordi, agnizioni, amicizia, gentilezza, giustizia, anche un po’ di umorismo.
Non è difficile da individuare il film per signore: un po’ come il film che va bene per le scuole. Philomena dal canto suo va bene per i cineforum, per il pubblico della domenica, per quello del mercoledì, addirittura per ogni pubblico, con un livello di recitazione e scrittura così alto da giocarsela alla pari con la commedia classica, con il cinema dei bei tempi che non si fa più e che invece ogni tanto qualcuno (più lo sceneggiatore e attore Steve Coogan che Frears, in questo caso) riesce ancora a fare.
Philomena è bellissimo perché è al servizio di tutti, della parola, del cuore, della mente; è un insieme di buoni sentimenti e sottile cinismo che fa ridere per gentile pietà e piangere per vera commozione. Non ha una sbavatura, Philomena, sembra scritto con la livella, cita addirittura T. S. Eliot, con uno di quei versi così immediati e facili («E alla fine di tutto il nostro andare ritorneremo al punto di partenza per conoscerlo per la prima volta», da Quattro quartetti) da far pensare che la poesia sia una cosa immediata e facile.
Per tutti questi motivi, perché mescola alto e basso, leggerezza e tragedia, perché fa sognare e mette un malinconico buonumore, Philomena, oltre a essere, ripetiamo, un film bellissimo, è anche un perfetto film spazzatura. Spazzatura di qualità, spazzatura di cui si sente il bisogno, ma pur sempre spazzatura.
C’è un elemento che tradisce questa natura: gli aeroporti. In Philomena ce ne sono due, forse tre (vado a memoria), e di scene in aereo altrettante. E sono luoghi importanti, nel film, gli aeroporti e gli aerei: è in aeroporto, infatti, che Philomena sceglie di restare negli Stati Uniti e proseguire la sua ricerca; ed è in aereo che l’irresistibile madre settantenne alla ricerca del figlio racconta con dovizia di particolari la trama “imprevedibile" – guarda caso – di un romanzo spazzatura, una storia di amori travagliati e riscatti sociali solo un poco più esagerata di quella che la vede protagonista.
Chissà allora – e sta qui l’affinità selettiva – se Coogan abbia pensato a Martin Amis e a quello che scrive nell’Informazione sul rapporto tra aeroporti e romanzi spazzatura, definendolo un «legame spirituale – una sacra alleanza, una solenne comunione d’idee». Sembrerebbe di sì. Perché a un certo punto Amis sembra interpretare alla sua maniera paradossale e geniale proprio un film come Philomena:
I romanzi spazzatura si vendono negli aeroporti. I frequentatori di aeroporti comprano e leggono romanzi spazzatura. I romanzi spazzatura parlano di gente negli aeroporti, un po’ perché i romanzi spazzatura si servono degli aeroporti per spedire i loro personaggi a zonzo per il pianeta, e un po’ perché gli aeroporti fanno da sfondo, nei romanzi spazzatura, ai loro distacchi, incontri casuali, convegni e appuntamenti.Certi romanzi spazzatura parlano solo di aeroporti. Certi romanzi spazzatura sono addirittura intitolati Aeroporto o qualcosa del genere. Perché, allora, potreste chiedervi, non esiste un aeroporto chiamato Romanzo Spazzatura? I film tratti da romanzi spazzatura, naturalmente, fanno grande affidamento negli aeroporti.
E poi ancora:
I romanzi spazzatura esistono almeno da quando esistono i romanzi non-spazzatura. Gli aeroporti, invece, non esistono da molto tempo. Però gli uni e gli altri hanno spiccato il volo contemporaneamente. I lettori di romanzi spazzatura e i frequentatori di aeroporti vogliono la stessa cosa: evasione, e rapido trasferimento da un romanzo spazzatura all’altro, da un aeroporto all’altro. […] Qualunque cosa siano, comunque funzionino, i romanzi spazzatura sono affini alla psicoterapia; anche gli aeroporti sono affini alla psicoterapia. Gli uni e gli altri appartengono alla cultura della sala d’aspetto. Musica via cavo, linguaggio tranquillizzante e suadente. Da questa parte – sì, l’assistente di volo si occuperà subito di lei. Aeroporti, romanzi spazzatura: ti strappano la mente dalla paura della morte.
Martin Amis, L’informazione, Einaudi, Torino 2004, pp. 280-281 (trad. di Gaspare Bona)
Ecco, allora, perché Philomena è un film così bello, perché a Venezia mise tutti d’accordo, nonostante nessuno pensasse che Frears valga Tsai o Garrel. Perché è un film spazzatura, e in quanto film spazzatura è un film d’evasione. Evasione da quello che siamo, evasione verso quello che ci piace credere di essere stati. Perché è cinema da aeroporto, cinema di viaggi e di attesa, e dunque, ancora, cinema da sala d’aspetto. Perché se mai è esistita un’accezione positiva per la «cultura della sala d’aspetto» (per quella negativa basta pensare a uno qualsiasi degli ultimi album di Leonard Cohen: musica da hall di albergo, da filodiffusione in ascensore), Philomena l’ha trovata. Poche cose come il sorriso e il pianto al cinema, in fondo, strappano la mente dalla paura della morte.