Affinità selettive

Affinità selettive

Cronenberg, Coetzee e l'incesto


Scrive J. M. Coetzee nel carteggio con Paul Auster, pubblicato da Einaudi: 

[…] Certo il fascino dell’incesto tra fratello e sorella è proprio in quel passaggio dal fin troppo noto al misterioso e all’ignoto. L’incesto è stato un tema letterario importante (Musil, Nabokov) ma sembra non esserlo più. Mi chiedo come mai. Forse perché l’idea del sesso come esperienza quasi religiosa – e di conseguenza dell’incesto come una sfida al divino – si è dissolta.

(Paul Auster, J. M. Coetzee, Qui e ora, Einaudi, Torino 2014, p. 14, trad. Massimo Bocchiola e Maria Baiocchi) 

La lettera è datata 11 settembre 2008 e a quella data né Paul Auster aveva ancora scritto Invisibile, romanzo dedicato a un incesto fra fratello e sorella, né Coetzee poteva sapere che nel maggio 2014, a Cannes, l’incesto sarebbe tornato un tema importante. Maps to the Stars di Cronenberg, Mommy di Dolan, Loin de mon père di Keren Yedaya hanno al loro interno scene di incesto. Tra fratello e sorella nel primo; tra madre e figlio (anche se più desiderato che realizzato) nel secondo; tra padre e figlia (e in questo caso desiderato, realizzato, reiterato) nel terzo. Ed è proprio il film di Cronenberg a porsi la questione nel modo più problematico.

Perché l’incesto? Se è vero quello che scrive Coetzee (potrebbe non esserlo, ma sicuramente è interessante), perché l’incesto in un mondo, quello di Maps to the Stars, popolato da simulacri di esseri umani nella città dell’immaginario cinematografico, in un mondo dove la famiglia non ha più senso, dove i ruoli non hanno più senso, dove il padre, la madre, i figli, i vivi e i morti sono su uno stesso piano e si disperdono in una grande e abbagliante superficie orizzontale che appiattisce e annulla ogni cosa? A Hollywood, 2014, il divino non è nemmeno più secolarizzato, le stelle esistono solo per essere vagheggiate da una poesia svuotata, i fantasmi vengono dall’acqua e non stanno nell’aldilà, la morte è un’occasione, il fuoco un gioco.

Eppure il film inizia con la calata dal cielo di una figlia che ha sedotto il fratello, e si conclude con un ritorno alle stelle. E dunque qualcosa di divino, quanto meno nelle azioni simboliche, ancora c’è. E anche l'incesto un significato sacrale potrebbe ancora averlo: come sfida all’unica forma di divinità rimastaci, la divinità dell’io, o meglio ancora, trattandosi di Cronenberg, la divinità del corpo, celebrata, svilita, sfidata, e dunque temuta. Il corpo come involucro, come simulacro, e non più – ed è qui il punto cruciale di questo film complesso e respingente – come macchina viva, creativa e insieme distruttrice. Un corpo reso ormai immateriale e trasparente (come prende fuoco la madre? come brucia? dove cade?) per Cronenberg non può che annullarsi da sé, esattamente come l’incesto, in maniera simbolica, annulla la relazione fra i due amanti, è un gioco a somma zero, la proiezione di sé nella persona più vicina (la sorella, la madre, il padre, il sangue del proprio sangue) e dunque una specie di auto-annullamento.

Ho pensato a una cosa simile, sempre a Cannes, guardando Saint Laurent di Bonello: quando lo stilista vede per la prima volta la modella che diventerà una delle compagne di lavoro più strette, affascinato dalla bellezza della donna, si proietta nel suo corpo, per un attimo diventa lei, con i suoi vestiti, la sua posa, la sua fisicità. Bonello sintetizza con uno stacco di montaggio l’idea del processo creativo come proiezione di sé nell’altro, come sostituzione di sé nel corpo dell’altro, e ovviamente illustra il corto circuito creativo di cui lo stesso Saint Laurent sarà vittima, di cui, forse, l’intera era della riproducibilità tecnica è vittima, nauseata, come dice ancora lo stilista, dal vedere la propria anima continuamente specchiata, riprodotta, svilita negli altri.

Che Maps to the Stars sia il film definitivo su quella nausea diventata ormai uno stato naturale? Che l’incesto, oggi, sia l’ultimo stadio di quella proiezione di sé nell’altro, di una sfida ancora più devastante, non al divino, ma a noi stessi?