La scorsa domenica, in diretta a Che tempo che fa?, il Presidente del consiglio Enrico Letta ha citato Ricomincio da capo (chiamandolo "Il giorno della marmotta", ma pazienza) per riferirsi all’eterno ripetersi delle mosse di Berlusconi, vent’anni di una storia sempre uguale, mai un cambiamento, mai una svolta. Fin troppo scontato, ma sacrosanto: come italiani, come popolo, siamo intrappolati in un eterno giorno che si ripete.
Più che la cadenza monotona di una ripetizione, però, la presenza di Berlusconi nelle nostre vite – magari anche in quelle di chi lo vota – genera un inevitabile sentimento di noia: una sensazione di sfiancamento e di minaccia per una storia che rischia di ripetersi all’infinito. Una storia, a pensarci bene, che per imporsi ha bisogno di ripetersi. Anche in Ricomincio da capo, in fondo, la trappola temporale aveva uno scopo, un’utilità, e per arrivare a capirlo Bill Murray passava attraverso il disgusto, la spossatezza, anche la paura.
Questo mi fa pensare a ciò che Saul Bellow scrive a proposito della noia in uno dei suoi più grandi romanzi: Il dono di Humboldt. Lì, il protagonista, un intellettuale ridicolo e fallito dietro il quale si nasconde lo stesso Bellow, ha in mente una storia antologica della noia: la noia come elemento della modernità, la noia come annichilimento delle energie per ridurre la creatività, e dunque come strumento di potere.
Ecco cosa scrive Bellow parlando con la voce dell’alter ego Charlie Citrine:
Ha più la noia, a che fare con le rivoluzioni politiche moderne, che non la giustizia. Nel 1917, quel noioso di Lenin, autore di tanti noiosissimi opuscoli su questioni organizzative, fu, per brev’ora, tutto passione, fu tutto interesse radioso. La rivoluzione russa prometteva all’umanità una vita permanentemente interessante. Quando Trotski parlava di rivoluzione permanente intendeva, in realtà, permanente interesse. Nei primi tempi la rivoluzione fu un’opera ispirata. Operai contadini e soldati erano in uno stato di sovreccitazione e poesia. Quando questa fase, breve e brillante, ebbe termine, che cosa sopravvenne? Seguì la più noiosa società della storia. Sciatteria trasandatezza opacità monotonia merci dozzinali noiosi edifici noiose scomodità noiosissimi controlli una stampa grigia una grigia istruzione una barbose burocrazia lavori forzati perpetua presenza poliziesca pene persecuzioni, noiosi congressi di partito, eccetera eccetera. Quel che c’è di permanente è solo la mancanza di interesse.
Cosa potrebbe esserci di più noioso dei lunghi pranzi che dava Stalin, come ce l’ha descritti Milovan Djilas? […] I commensali mangiavano e bevevano, bevevano e mangiavano, poi alle due di notte gli toccava sorbirsi un film western americano. I deretani gli dolevano, c’era il terrore nei loro cuori. Intanto che rideva e chiacchierava, Stalin sceglieva quelli cui sarebbe toccata la mazzata fra capo e collo; e costoro, nel mentre che s’ingozzavano e ruttavano, si rendevano conto che fra poco sarebbe giunta la loro ora, che sarebbero stati fucilati.
In altre parole: che cosa sarebbe la noia moderna senza il terrore? Uno dei documenti più noiosi di tutti i tempi è senz’altro lo spesso volume delle Conversazioni a tavola di Hitler. Anche costui invitava la gente ad assistere a film, a mangiare pasticcini, bere caffè con Schlag, e intanto l’annoiava a morte, discettando spiegando teorizzando. Tutti quanti crepavano di noia e di paura, non osavano neanche andare al gabinetto. Il rapporto fra noia e potere non è stato mai adeguatamente studiato. La noia è instrumentum regni, un mezzo di controllo sociale. Il potere consiste nel potere d’imporre la noia, di obbligare alla stasi, combinare questa stasi con l’angoscia. Il vero tedio, il profondo tedio, è condito di terrore e di morte.
Saul Bellow, Il dono di Humboldt (Rizzoli, Milano 1976, trad. di Pier Francesco Paolini)
Poco prima di questa tirata, poi – tirata ovviamente perfetta per la condizione del nostro Paese, condito purtroppo anche di ripetitive, impotenti immagini di terrore e morte sulle nostre coste – Bellow scriveva:
A me sembrava, invece, di poter partire dalla seguente massima: a questo mondo, o bruci o marcisci.
Tiriamo noi le conclusioni, insomma: siccome da anni viviamo il giorno della marmotta, evidentemente, come popolo, come sudditi annoiati a morte dal dittatore, non stiamo bruciando…