Ilya Povolotsky

Grace

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La grazia è quel dono di Dio (o degli Dei, a scelta) che agisce in quanto strumento di salvezza del soggetto che a Lui (o ad Essi) si affida. L'idea di Salvezza, naturalmente, va definita o interpretata secondo il contesto di riferimento, sia esso collettivo o individuale o entrambi.

“Viaggiatori”: così il padre dichiara di se stesso e della figlia quindicenne con la quale, a bordo di un furgone che una volta era rosso, attraversa gli spazi sterminati della Russia centrale in cui l'idea di confine si manifesta più che altro negli scavalcamenti linguistici. Il furgone, rattoppato e precario, è sovraccarico di tutto ciò che occorre ai due per sopravvivere, compreso il materiale necessario alla loro attività di proiezionisti ambulanti e di trafficanti di DVD illegali (“Che cosa farai quando tutti avranno internet?” domanda a un certo punto la ragazza all'uomo). Lunghe distanze da coprire, poche parole da scambiare, un lutto non ancora elaborato che finisce per palesarsi materialmente nel corso del tempo. Risuonano echi lontani dal film imprescindibile di Wim Wenders, ma il contesto – geografico, psicologico, politico – è quanto più possibile estraneo a quello dell'incontro tra King e Kamikaze: pre/apocalittico quello, consumatosi in un mondo distante anni luce da qui, sotto ogni punto di vista; definitivamente post/apocalittico questo in cui le speranze esili e incerte del passato si sono ormai svelate nella loro vanità dominata dal caos e da un'insopprimibile sentimento di incompiutezza.

Il paesaggio in cui sembra prendere direzione un vago percorso verso il Nord si manifesta, nella sua desolazione sempre nuova e sempre uguale, quale correlativo oggettivo dello sbandamento esistenziale dei due protagonisti, che in più di un'occasione appaiono uniti soltanto da una solidarietà fatta di gesti abitudinari, non si capisce quanto saldi e quanto fragili nella loro prospettiva di tenuta anche a breve termine. E in questo, i due sono di fatto sineddoche di una condizione generale, ogni volta evidenziata negli incontri e nelle situazioni che si succedono, anche quando sembrino aprire a una parvenza di comunicazione, a un'idea di riconoscibilità. Non è senza significato che la crisi precipiti proprio là dove per mezza giornata ha preso forma una parvenza quasi rassicurante di aggiustamento tra presente e passato: una casa di cui viene rivendicata la continuità familiare della proprietà (insieme al desiderio di abbandonarla), un'attività giustificata dalla concretezza (raccolta dei dati meteorologici – ma senza la possibilità di utilizzarli per fare previsioni), una cena servita a tavola, un vestito rosso indice di desiderio (insieme al suo addomesticamento). Esattamente qui, durante la cena, la figlia mette in atto la forzatura espressa in precedenza dalle inquadrature ripetute in cui, grazie alla focale corta e al posizionamento del suo volto nella cornice, sembrava sul punto di bucare lo spazio concessole, per approdare in un altro, sconosciuto.

È la forza del desiderio – rimasta sottesa in agguato ma percepibile lungo tutto il tempo del racconto – a provocare la rottura insieme all'evoluzione del personaggio verso l'uscita definitiva dall'età dell'assoggettamento, dell'ubbidienza triste. Non c'è un progetto a sostenere la figlia nella sua scelta di unirsi per una notte al ragazzo con la moto e perdere così la verginità. Una volta terminato ciò che andava fatto, lo congeda fotografandolo di spalle, al passato, obbligandolo anche a riconoscere il vero motivo che lo spingeva a seguirli, che non era certo quello di emanciparsi dalla vita di villaggio cui si sentiva costretto prima di incontrarli. Se il desiderio ha a che fare con il sesso, per la ragazza si identifica anche con la raggiunta coscienza di sé e dunque con il conseguimento di una libertà nuova. A quel punto finalmente il mare invocato già all'inizio della vicenda diventa presenza fisica, non soltanto proiettata su un telone provvisorio per un pubblico occasionale, e nel mare è possibile liberarsi del lutto che incombeva sulla vita della figlia e del padre: le ceneri della madre (Madre Russia?) vengono sparse e l'urna gettata prima di ritornare al furgone che li attende pronto a ripartire.

Altra eco lontana, quando la figlia attraversa la spiaggia diretta verso le onde, facile da immaginare, è quella di un Antoine Doinel altrettanto desideroso di trovarsi e di riconoscersi ma bloccato poi in un'indimenticabile inquadratura conclusiva senza risposte. Se la leggerezza del movimento di Antoine era tutta nella corsa verso l'acqua, questa volta la percepiamo nel percorso di ritorno, verso la strada, verso una nuova partenza.

La grazia di un'anima salva.


 

 

Grace
Russia, 2023, 119'
Titolo originale:
Blazh
Regia:
Ilya Povolotsky
Sceneggiatura:
Ilya Povolotsky
Fotografia:
Nikolai Zheludovich
Montaggio:
Aleksandr Kletsov, Ilya Povolotsky
Musica:
Aleksandr Kletsov
Cast:
Maria Lukyanova, Gela Chitava, Daro Akimidze, Koba Akimidze, Aleksandr Cherednik, Christina Chernyavskaya, Anna Grigoryeva, Ivan Ivashov
Produzione:
Black Chamber
Distribuzione:
Lab 80 Film

Nella Russia rurale la vita di un padre introverso e della figlia adolescente gira intorno ai loro viaggi su un furgone rosso, la loro casa su ruote, e le proiezioni cinematografiche che portano in piccole città e villaggi dispersi.

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