Richard Linklater

Un film sul tempo senza tempo

film review top image

Boyhood è letteralmente un film sul tempo: sul tempo come quantità, sul tempo che ci sta davanti, sul tempo che si ha a disposizione per fare e disfare le cose, per crescere e cambiare, sbagliare, correggere, sbagliare ancora e ricorreggere, in una catena infinita. È il racconto di un'educazione alla vita, ma per fortuna non è un romanzo di formazione; perché nulla succede, in Boyhood, a parte quello che succede nella vita.

Dodici anni ci sono voluti per realizzarlo. Dodici anni di vita di Mason, che vive a Austin con la mamma e la sorella e ogni tanto passa i weeend con il padre, e di crescita fisica, o invecchiamento, degli attori coinvolti. Dodici anni di riprese frammentate (e a quanto pare rapidissime, per un totale di soli quaranta giorni in tutto), di cinema che cresceva mentre la vita proseguiva, con lo stesso ritmo, la stessa cadenza inesorabile. Mason da bambino diventa adolescente e poi ragazzo, dal giardino di casa arriva al college, e nel suo percorso in linea retta ci sono gli amici e i compagni di ogni stagione, ci sono la scuola e le vacanze, i nuovi mariti della madre, la nuova moglie del padre, gli amori della sorella; ci sono le cose che cambiano e le cose che restano uguali per sempre, le discussioni in casa, i lavori estivi, le fidanzate, il diploma, l'abbandono della famiglia. Non ci sono né drammi né tragedie, nemmeno troppi conflitti; solo cose che rendono la vita normale e impossibile da raccontare nella sua fluidità ininterrotta.

E infatti Linklater non racconta; srotola una matassa e la ricompone con il montaggio. In Boyhood è il tempo a raccontare: con i cambiamenti nel corpo e nella voce degli attori, con il passare degli anni scandito dalle canzoni di un decennio, più qualche significativo sbandamento autoriale (da Yellow dei Coldplay a Deep Blue degli Arcade Fire, passando per Flaming Lips, Wilco, Vampire Weekend, The Black Keys, Yo la Tengo, e pure McCartney e Dylan, senza che mai l'uso della musica sia forzato, ma anzi appaia fugace come i minuti, come un accenno senza emozione o nostalgia), con il mutare degli interessi di una persona che cresce e fa solo quello, cresce e vive. A non mutare è però lo stile di Linklater, che è classico, sobrio, quasi mai sbavato verso l’estetica indie, e nella sua incredibile uniformità fa di Boyhood un film sul tempo senza tempo, uguale nel 2014 come nel 2002, con l'ellissi che paradossalmente dà uniformità a un tempo spezzato ma percepito in quanto eterno presente.

Il protagonista di Boyhood non si volge mai all’indietro, non ne avrebbe motivo, ha un sacco di tempo davanti a sé per diventare quello che vuole diventare, e magari altro ancora. Mason ha sempre una strada davanti a sé, può correre il rischio di farsi sfuggire un momento ideale perché sa che altri ne arriveranno. Perde qualcosa, ma continua a vivere. Ed è questa continuità, questo sentimento impressionista del tempo che fa di Boyhood un capolavoro.

Il presente è assoluto, ma l'attimo non è fuggente - dura dodici anni, più probabilmente una vita intera.

 

Boyhood
Usa, 2014, 165'
Regia:
Richard Linklater
Sceneggiatura:
Richard Linklater
Fotografia:
Lee Daniel, Shane F. Kelly
Montaggio:
Sandra Adair
Cast:
Richard Linklater, Patricia Arquette, Elijah Smith, Ethan Hawke, Lorelei Linklater
Produzione:
IFC Productions, Detour Filmproduction
Distribuzione:
Universal Pictures

La vita di Mason, dagli otto anni, quando frequenta la scuola elementare, fino ai vent'anni, quando entra al college. 

poster