Da poche settimane è uscita la versione home video di L’ora più buia, DVD e Blu-rayTM (4K ULTRA HD) distribuiti da Universal Pictures Home Entertainment.
Il film, diretto Joe Wright e scritto da Anthony McCarten, ha regalato un Golden Globe e soprattutto un Oscar a Gary Oldman, mimetico e straordinario nel calarsi nella parte di Winston Churchill.
Del grande statista inglese vengono raccontati i giorni tragici dell’inizio del suo incarico a Primo ministro del Regno Unito: maggio 1940, a sessantacinque anni Churchill, giudicato da più parti inappropriato come premier, conquista la leadership del suo partito e della nazione per via della difficile situazione a un anno dall’inizio della seconda guerra mondiale. La tragedia di Dunquerque, vissuta dalla parte opposta del mare rispetto al film di Nolan, fa temere un’invasione tedesca e spinge una parte dei politici a tentare un accordo di pace coi tedeschi. Ma la grandezza di Churchill sta nella sua audacia, nella sua testardaggine, negli errori passati che lo porteranno a scegliere la via dello scontro con Hitler, e della vittoria dopo anni sudore, lacrime e sangue.
In occasione dell’uscita del DVD e del Bluray, impreziositi dal commento del regista Joe Wright e un esclusivo dietro le quinte, nel quale si vede la straordinaria trasformazione di Oldman in Churchill, grazie al lavoro anch’esso premiato con l’Oscar dei truccatori David Malinowski, Lucy Sibbick e Kazuhiro Tsuji, riproponiamo alcuni passaggi della recensione di Federico Pedroni, comparsa sul n. 572 di Cineforum.
L’impostazione del film segue, pur nella calibrata ridondanza delle situazioni, il filo conduttore verbale e simbolico della parola (scritta, parlata, declamata) e fa i conti con la tradizione teatrale (inquadrature fisse, luci diagonali, supremazia della recitazione) miscelata a una riflessione sul potere che assume a tratti il linguaggio narrativo tipico di molta (buona) serialità televisiva, come se Shakespeare incontrasse House of Cards. Questa pulsione bifronte raggiunge il suo apice nella scena più enfatica (efficace e ridondante allo stesso tempo) del film: l’incontro in metropolitana con la gente comune che spinge Churchill a tralasciare ogni indugio e perseguire la sua idea di guerra senza sosta a Hitler, senza farsi tentare dalle sirene del compromesso. Qui il confronto tra popolo e potere diventa esplicito, si tinge di retorica, costruisce il suo climax emotivo come in un’arringa: una rappresentazione quasi romantica che, in tempi di disconoscimento del primato della politica, assume un valore assordante. Wright non teme sbavature e si affida al taumaturgico potere della catarsi, sfiorando tonalità populistiche che sfidano il rischio di stonature.
Il corpo di Churchill va a scontrarsi, a fondersi, a identificarsi con il corpo della Nazione: è il contraltare dell’assenza fisica nel finale di Dunkirk di Christopher Nolan, quando la sua voce detta i tempi del ritorno a casa dei superstiti dell’Operazione Dynamo, momento centrale della Seconda guerra mondiale e mito fondativo della resistenza del popolo inglese al nazismo. Nolan aveva scelto di non mostrare l’uomo simbolo, onnisciente architetto della po- litica bellica britannica, per concentrarsi sulle reazioni del suo popolo, sulla sofferenza e sul sacrificio degli uomini comuni, sull’effetto quasi mistico di un discorso radiofonico capace di trasformare una colossale ritirata nell’idea di una potenziale vittoria.
L’ora più buia è il corpo di Churchill, Dunkirk è la sua voce: un gioco di pieni e vuoti che trova forse la rappresentazione più convincente del Primo ministro inglese – in questi anni di gloria televisiva e cinematografica – in una terza via, quella di The Crown, la serie tv Netflix scritta da Peter Morgan.