I compleanni delle manifestazioni portano sempre con sé sentimenti autentici e vecchie retoriche. Per l’edizione #70 della Mostra Alberto Barbera e Stefano Francia, su suggerimento di Paolo Bertolin, hanno chiesto a un gruppo di cineasti, mostri sacri e giovani promesse, di cimentarsi con un formato/format preciso: un corto compreso tra il 60” e i 90” che parlasse del futuro del cinema.
Hanno risposto, guarda caso, in 70, quasi tutti hanno sforato sulla durata, molti hanno centrato il target, nella sua complessa profondità. Il progetto prevedeva poi un assemblaggio in un programma unico dei brevi film, un continuum che talvolta sfida il cinefilo nel gioco dell’attribuzione stilistica, dell’agnizione di voci, di volti, di sguardi, di temi, narcisismi e ostinazioni.
Ci sono piccoli remake in famiglia, come quello di Kiarostami, che si cimenta con l’Arroseur dei Lumière o quello di Tsukamoto che fa girare un Gozilla di cartone ai suoi bambini. Ci sono frammenti di diario autoironico, come quello di Bertolucci, alle prese, sul proprio semovente, con i sanpietrini sconnessi della Capitale; o la conversazione incidentale di Claire Denis registrata su una camera dimenticata accesa; o la riflessione anche piuttosto amara di Catherine Breillat su arti, mecenatismo e meccanismi economici (“il denaro è ermafrodita”).
C’è anche chi rielabora frammenti di opere concluse (scarti di lavorazione?) o di lavori in corso, come Ulrich Seidl e Monte Hellman. Tanti si interrogano sulla fine dello spettacolo cinematografico di sala, e sulla sopravvivenza del cinema in tutti i dispositivi che ci è dato di poter usare: Atom Egoyan non sa cosa cancellare dalla memoria del proprio cellulare ma in fondo moltiplica il grado di riproduzione filmando le foto prima di eliminarle; Salvatore Mereu racconta di cinema nelle tasche dei pastori della Barbagia; Milcho Manchevski osserva l’indifferenziazione e l’indifferenza della visione tra la folla di New York; Samuel Maoz si mette al capezzale di un cinema moribondo e burbero, che si rifiuta di finire in digitale, per allargare poi il campo e mostrare che è un discorso superato, archiviato e musealizzato; Todd Solondz si immagina, nel 3013, lezioni di cinema in formato supposta.
Sono tanti, non tutti memorabili, ma il discorso ha un suo filo, robusto, e speriamo che tenga: se ve li doveste perdere sul grande schermo, niente paura, dal 9 settembre tutti i corti saranno visibili sul sito della Biennale.