I “garrelliani” convinti (una specie in via d’estinzione, purtroppo) senz’altro si ricorderanno di Sauvage Innocence, presentato a Venezia nel 2001: un film in cui Garrel arrivò a uno degli apici dell'intreccio tra cinema e vicende autobiografiche. Lì la protagonista Lucie doveva interpretare (film nel film) una tossicodipendente modellata sull’ex compagna del regista, e finiva naturalmente col mischiare realtà e finzione, ed iniziare lei stessa un’esperienza di dipendenza dall'eroina.
La Jalousie, presentato oggi in concorso, ne ripercorre in un certo senso lo schema. Anche se questa volta non si tratta tanto di vicende amorose (a dispetto del titolo) ma di vicende famigliari. Stando alle parole di Philippe Garrel, Louis Garrel, protagonista del film, interpreterebbe infatti un personaggio modellato sul padre del regista, l’attore Maurice Garrel scomparso due anni fa. In uno strano intreccio di padri-figli, realtà-finzione e generazioni che si accavallano, Louis finisce per incarnare suo nonno quando aveva la sua stessa età ed era apparentemente nella stessa situazione nella quale si trova nel film: attore di teatro squattrinato che abbandona una donna con cui aveva avuto una figlia per andare a vivere con un’altra.
“Non sono gelosa di te, papà” dice la figlia in braccio a Louis a un certo punto del film. Perché la gelosia di cui si parla è quella che lega i bambini ai padri quando ci si trova a cavallo di due famiglie diverse. Philippe fa interpretare il suo corrispettivo a una bambina, la piccola Charlotte (interpretata splendidamente da Olga Milshtein), alla quale spetta re-inventare il rapporto con il padre quando questi si innamora di un’altra donna che non è sua madre. “Un uomo geloso – diceva Lacan – ha torto anche quando sua moglie gli fa davvero le corna”, questo perché la gelosia non è una speculazione sul fatto di un tradimento effettivamente avvenuto, ma è un affetto, una posizione soggettiva indipendente.
La gelosia della madre di Charlotte nei confronti di Louis, di Louis nei confronti di Claudia e di Claudia nei confronti di Louis, non è la cupa constatazione della caducità dell’amore, come il cinismo dei nostri tempi vorrebbe farci credere. Garrel ci fa vedere come l’affetto della gelosia possa essere ribaltato positivamente e farsi testimonianza di una capacità d’amare. Perché questo dev’essere in grado di trasmettere un padre: non l’applicazione della legge, ma la testimonianza di un desiderio. Anche nella forma della debolezza che la gelosia è capace di esprimere quando di fronte alla propria figlia ci si mostra nudi nella disperazione di un amore non corrisposto.
Con La Jalouise Garrel fa il suo bel più film da Les Amants Regulier, e uno dei film migliori del suo periodo “narrativo”. Aiutato da un bellissimo bianco e nero molto contrastato realizzato da Willy Kurant, che depotenzia i rischi di realismo didascalico e aumenta il senso di radicalità delle relazioni oppositive del film, La Jalouise evita ogni rischio di sentimentalismo e consolazione. Questi incastri di realtà e finzione, forse un po’ contorti da mettere in luce, non tolgono nulla alla semplicità e all’efficacia della storia, che in poco più di settanta minuti è in grado di articolare una riflessione tutt’altro che dimessa e leggera.
La Jalouise è il film con cui Philippe Garrel vuole parlare del rapporto col proprio padre all’indomani della sua morte. E lo fa, come sempre fa, mettendosi in mezzo ma evitando i facili autobiografismi. Perché il cinema di Garrel è da sempre fedele a un assunto teorico fondamentale: nella relazione tra vita e immagine, l’immagine non è mai lì per rappresentare qualcosa, ma semmai per provare a dare forma alla propria vita.