Era alta, ossuta, eccentrica, nera di occhi, di capelli e di abiti. Infatti, la chiamavano "La dame brune": Barbara, al secolo Monique Serf, ebrea alsaziana, con un'infanzia e un'adolescenza travagliata alle spalle (in fuga dai nazisti, ma anche da un padre violento e molesto), dotata di una voce calda e drammatica e di una passione per la musica e la poesia, interprete e a volte amica o musa di Pierre Brassens, Charles Trenet, Léo Ferre, Georges Moustaki, Jacques Brel.
Esordiente all'inizio degli anni 50 a Bruxelles e poi a Parigi, si afferma nei cabaret e in tour, incide i primi dischi all'inizio dei 60 e diventa celebre nel 1965 con Barbara chante Barbara. In Francia è un'icona, come Edith Piaf; ma un'icona più intellettuale, lei stessa autrice delle proprie canzoni, con un rapporto caldissimo, dal vivo, con il suo pubblico. Ha collaborato con i fratelli Prévert, con Gérard Depardieu, con Mikhail Baryshnikov a New York. Poi, negli anni 90 si è ritirata in campagna, dove ha continuato a lavorare con musicisti e artisti e dove ha scoperto il giardinaggio. E' morta nel 1997, in seguito a problemi respiratori; al suo funerale c'erano più di duemila persone.
A vent'anni dalla morte, la Francia la celebra: l'amico Depardieu ha inciso un disco, uscito a febbraio, Depardieu chante Barbara, e il cinema le dedica una biopic, Barbara, diretto da Mathieu Almaric e interpretato da Jeanne Balibar, che ricorda in maniera impressionante, nel fisico e nei tratti, l'artista. Biopic in realtà è una classificazione di comodo, perché il film di Almaric è tutt'altro.
Centrato su un'attrice che sta interpretando il ruolo della cantante in un film, e sul regista che lo dirige, Barbara è un atto d'amore appassionato verso la musica e la capacità di comunicare (e amare) attraverso essa e soprattutto verso una sfavillante figura femminile, affascinante e sfuggente insieme, calda e volatile, sopra le righe e taciturna, una donna coperta di piume, pizzi e velluti neri o di squillanti colori pop, una figura fragile e fortissima, le cui sfumature continuano a variare, insieme alle note musicali, ai toni della voce, agli umori. Non una sola donna, ma tre: Barbara, Brigitte, l'attrice che sta girando il film su di lei, e Jeanne Balibar, che le interpreta. Davanti a loro, Yves Zand, il regista del film, che è interpretato dallo stesso Almaric e che, via via che la messa in scena procede, che i set vengono smontati e che la campagna prende il posto dei teatri e degli appartamenti parigini, si perde davanti al caleidoscopio femminile che gli scorre davanti agli occhi. Non sa più, lui come noi, di chi innamorarsi. Voci, ricordi, pezzi di un'autobiografia mai terminata e, soprattutto, canzoni, incessanti e struggenti, contribuiscono ad amalgamare non tanto la biografia della cantante, quanto la sua essenza, in un gioco di specchi nel quale, più che tentare di distinguere i pezzi di vita dai brani di sceneggiatura, vale la pena di lasciarsi semplicemente andare. Tanto ci sono le canzoni, con il loro calore, i loro amori vissuti e perduti e le loro solitudini, a raccontarci i volti di Barbara (e di Brigitte e Jeanne).
Un film caldo, in cui il "maschile" si mette al servizio del "femminile", con incredula meraviglia.