Concorso

The Nightingale di Jennifer Kent

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Con il clima non propriamente disteso che si respira nel mondo del cinema dopo lo scandalo Weinstein e tutte le conseguenze del caso, fare oggi un rape and revenge movie conferisce all’opera un’attenzione che in altri momenti storici forse non avrebbe avuto. Se poi a dirigerlo è una regista donna, la faccenda si fa automaticamente ancor più interessante. O perlomeno, si fa interessante sulla carta. Perché in ogni caso, un progetto cinematografico, per riuscire a essere incisivo e realmente efficace, deve supportare anche a livello narrativo e visivo ciò che vorrebbe raccontare: non è purtroppo il caso di The Nightingale di Jennifer Kent.

Il film vorrebbe raccontare una storia di violenza. In particolare, le conseguenze della violenza da una prospettiva femminile. Vorrebbe farlo mettendo in scena una sorta di western in 4:3 ambientato a inizio ‘800 nel paesaggio selvaggio della Tasmania, in un momento storico in cui aborigeni, donne e bambini subivano inermi la forza brutale e arrogante della colonizzazione. La storia è quella di Clare, una giovane detenuta irlandese che, spinta dalla sete di vendetta per la brutale uccisione della figlia neonata e del marito, si mette in viaggio a caccia di un ufficiale britannico accompagnata da una guida aborigena. Vorrebbe quindi ripercorrere la storia di un paese intero, per raccontare di un passato intriso di una violenza che permane ancora oggi. Eppure, nonostante i suoi 136’ minuti di durata, nonostante il ricorso a un aspect ratio tutto sommato anomalo, l’iperviolenza messa in scena e un uso interessante e disturbante della componente sonora, l’opera seconda della regista di Babadook, di tutto questo riesce a trasmettere pochissimo.

Alla base della regia di Jennifer Kent sembra esserci l’idea di cucire il film addosso alla goffaggine e allo spaesamento della protagonista, lanciatasi in una sfida più grande di lei. La macchina da presa e il montaggio seguono costantemente la sua emotività e le sue incertezze, rendendo l’inseguimento asimmetrico, altalenante e impreciso. Ad alimentare questa situazione straniante, l’intuizione di rendere la donna un’inseguitrice assetata di vendetta e insieme una vittima braccata da suoi incubi. Ma nel momento in cui il punto di vista del racconto perde la prospettiva unitaria, e il film diventa la testimonianza di un’ingiustizia corale, il senso dell’operazione sfugge, sbanda.

Se infatti lo stile della regista australiana potrebbe funzionare per la vendetta non convenzionale della protagonista, di certo non c’entra assolutamente nulla, narrativamente parlando, con il bisogno di giustizia della guida aborigena che l’accompagna. Con il passare dei minuti, la consapevolezza che il viaggio raccontato da The Nightingale non riuscirà ad addentrarsi nelle profondità che vorrebbe raggiungere, non fa che diventare certezza. E alla fine tutto si riduce a un banalissimo scontro tra vittime innocenti e bifolchi ignoranti e violenti, soffocato inutilmente da una struttura esageratamente pesante che non ha nulla da sorreggere…