Dopo il felice esordio con Court, tenuto a battesimo sei anni fa proprio dalla Mostra di Venezia, il giovane regista indiano Chaitanya Tamhane è tornato con un secondo film che ne mette ulteriormente in evidenza il talento. Attento osservatore della società del suo paese, raccontata lasciandosi trasportare dalla curiosità tanto per le sue mistiche bellezze e per il suo ricco patrimonio culturale, ma anche per i suoi molteplici difetti e contraddizioni, con The Disiciple Tamhane sposta l'attenzione dai meccanismi kafkiani del sistema legale indiano al centro del suo esordio alla musica classica tradizionale del paese, soprattutto della zona settentrionale.
Questo particolare genere musicale, chiamato Khayal e basato su una successione di accordi che accompagnano come un mantra le variazioni vocali improvvisate pressoché infinite del cantante, è a rischio d'estinzione, minacciato dalla musica pop contemporanea e dal successo globale dei talent show, i cui valori, effimeri e materiali, mal si conciliano con la vita ascetica e piena di sacrifici che lo spiritualismo del Khayal presuppone.
Nello specifico il film racconta la determinazione da parte del giovane protagonista nel perseguire la strada, irta e dissestata, a cui è stato avviato dalla passione del padre per questo particolare genere folklorico e che un giorno dovrebbe portarlo a diventare il degno erede del suo stimato e anziano maestro. Non sarà facile, anche perché, come spesso accade, non è detto che avere una vocazione significhi automaticamente ottenere, se non il successo agognato, anche solo i giusti riconoscimenti.
L'approccio di Tamhane è quello meticoloso dell'autore che, dopo aver assimilato i pilastri che sorreggono il mondo da scandagliare, padroneggia l'argomento così bene da trasformarlo in altro. Nelle mani di Tamhane, infatti, il Khayal diventa una scuola di pensiero, un modo di intendere la vita, uno sguardo che ci permette di osservare la realtà con occhi diversi, arrivando a vedere significati che altri non colgono.
Senza rinunciare a uno stile accessibile, gradevole e molto occidentale, su cui probabilmente ha influito l'apporto di Alfonso Cuáron, il quale ne ha accompagnato lo sviluppo e infatti figura come produttore esecutivo, The Disciple trasporta in una Mumbai affascinante, sensoriale, ipnotica che diventa un luogo della mente vissuto attraverso le melodie introspettive della musica Khayal, affidata ad attori non professionisti che sono stati trovati da Tamhane dopo un lungo lavoro di casting proprio nella comunità di musicisti e appassionati di questo specifico genere di musica.
Non serve essere inclini al cinema indiano o avere chissà quali gusti musicali per apprezzare The Disciple. Basta mettersi in ascolto, lasciandosi trasportare come in trance dallo scorrere della vita, dai raag lisergici, proprio come fa il protagonista a cavalcioni della sua motocicletta quando, di notte, al ralenti, percorre le strade deserte della megalopoli mentre la voce registrata della regina del Khayal si insinua nelle nostre orecchie istruendoci sul significato profondo di questa musica dell'inconscio.