Come non pensare all'After Hours di Scorsese nel seguire le vicende del povero soldato Hook, primo giorno di stanza a Belfast dopo un duro addestramento, vittima di circostante che lo portano di minaccia in minaccia a smarrirsi in una città che non ha bisogno di travestirsi da incubo (nel 1971 lo era già di per sé), entrando in contatto con svariati personaggi, ognuno dei quali conduce a uno snodo imprevisto e determinante? Tutto in una sola notte. E che notte.
Priva del grottesco scorsesiano e intrisa di una drammaticità dolente che pare non vedere mai l'alba. '71, opera prima di Yann Demange, parigino residente da sempre a Londra, al di là dei riferimenti citati esplicitamente dal regista (I guerrieri della notte e 1997: Fuga da New York), è soprattutto questo. Una prima mezz'ora da bocca aperta. Letteralmente. Una sequenza lunghissima che non conosce un attimo di respiro: inizia come una semplice perquisizione di routine dell'esercito britannico nel quartiere cattolico, diventa una contrapposizione tra linee esasperate, si trasforma in un'impietosa esecuzione su un marciapiede e trova la sua sublimazione in un inseguimento disperato tra i vicoli di una Belfast grigia e avvilente, in cui dietro ogni muro sbrecciato può esserci la fine.
Riprese instabili con la macchina a mano, inquadrature frammentate che amplificano la tensione, volti dei personaggi trasfigurati dallo sforzo della sopravvivenza, solo indovinati tra un frammento e l'altro. Il disordine eletto a chiave paradossale di comprensione degli eventi (storici). C'è una tensione costante priva di pause e cedimenti, pur nella mancanza deliberata di una suspense costruita secondo i dettami consueti.
L'alternanza (snervante) sta tutta nei pochi vantaggi cognitivi concessi appositamente al pubblico per approntare il ribaltamento beffardo di ogni apparenza: Demange (e la sceneggiatura di Gregory Burke) prepara sempre accuratamente l'ambito della sequenza, senza perdersi nella velocità di esecuzione della messa in scena; dispone le eventualità, informando sulle minacce imminenti, e capovolgendo qualunque attesa si possa generare.
Qualora qualcuno fosse interessato a questo aspetto, si potrebbe sollevare un problema morale privo di alcuna soluzione: non esistono buoni e cattivi, non esiste una parte per cui parteggiare (a meno che non si sia membri dell'IRA o fieri lealisti, ma non è il nostro caso). Anche le istituzioni mostrano il loro aspetto marcescente. Esiste soltanto la purezza del bambino che il soldato Hook, indicativamente, riabbraccia alla fine. Si punta esclusivamente a rimanere vivi.
La traduzione sul piano narrativo è un'attesa continua, un senso d'incombenza che vive sulle illusioni di salvezza e sull'inversione: ci si salva quando ci si crede irrimediabilmente perduti, si cade nella rete se si allenta anche solo per un istante l'inevitabile tensione.
Il sorgere del sole è un sospiro di sollievo. Esistenziale.
Gary, un giovane inglese, viene inviato in missione nelle strade di Belfast per scortare la polizia dell'Ulster, intenta a fare irruzione nelle case del quartiere cattolico in cerca dell'IRA. All'improvviso la piazza si infiamma, i vicoli si riempiono di cattolici che aggrediscono i soldati e questi fuggono lasciando indietro Gary. Per il giovane inizia un lungo calvario che, in un'estenuante fuga notturna, lo porterà a contatto con le varie frazioni nel tentativo di ritornare alla base.