Due film in competizione alla Mostra Concorso del Bergamo Film Meeting: Enklava di Goran Radovanović e Toz Bezi (Dust Cloth) di Ahu Öztürk.
L’enclave è un territorio chiuso entro i confini di uno stato differente da quello cui politicamente, religiosamente o culturalmente appartiene. Nel caso di Enklava del regista Goran Radovanović, si tratta di un piccolo villaggio cristiano in Kosovo dove Nenad, bambino serbo sensibile e acuto, vive con il padre burbero e il nonno ormai in fin di vita. Accanto a loro è presente una comunità musulmana albanese che, a causa della guerra da poco conclusa, nutre un profondo astio nei confronti dei conterranei serbi, odio che dagli adulti si trasferisce ai bambini in un circolo mimetico e violento.
È proprio l’essenza del conflitto serbo-albanese che il regista prova a sviscerare mettendo in scena una storia drammatica tra ragazzini, caratterizzata dall’intolleranza e dall’avversione verso ciò che è diverso. In questa reciproca ostilità, però, sembra brillare una luce in grado di rischiarare le inimicizie: si tratta di Nenad, il quale cerca di riappacificare le due etnie attraverso il candore e la spontaneità tipiche dei bambini. Non solo ospita gli amici albanesi nel carrarmato delle Nazioni Unite che lo accompagna, per ragioni di sicurezza, a scuola, ma riesce a instaurare una complicità genuina e suggestiva, capace di andare oltre i pregiudizi e le discriminazioni.
La tragedia, però, è alle porte: la rivalità etnica e religiosa contagia pure Bashkim, amico albanese di Nenad, che, in un vortice mimetico incontrollabile, dominato da una frenesia violenta e distruttiva, decide di sacrificare il giovane amico, unica persona in grado di destabilizzare e portare pace ad un conflitto quotidiano, vissuto come giusto e normale.
Di tutt’altro registro è Toz Bezi (Dust Cloth) della regista e sceneggiatrice turca Ahu Öztürk, film recentemente presentato nella sezione Forum della Berlinale 2016. Caratterizzato da una linearità narrativa ambiziosa e meditativa che, tuttavia, riserva qualche estraniante sorpresa in chiave post-moderna, questo lungometraggio si concentra non solo sulla questione femminile in Turchia ma anche su quel muro invisibile che separa le etnie curde, discriminate e relegate ai margini della società. In netta antitesi con il recente Mustang della connazionale Deniz Gamze Ergüven, Toz Bezi è un importante e riflessivo film politico. Interrogata sulla futura distribuzione del lavoro patria, la regia ha non a caso trattenuto un sorriso malinconico, affermando che è molto dubbiosa su come il film potrebbe essere accolto, a causa della situazione instabile della Turchia.
Mettendo in scena i vissuti e le sofferenze di due sorelle, Hatun e Nesrin (quest’ultima abbandonata con la sua bambina da un marito scansafatiche), entrambe di origine curda che sbarcano il lunario lavorando come domestiche neleganti appartamenti di Kadiköy, ricco e sfarzoso quartiere di Istanbul, Öztürk imbastisce un racconto realista e spietato, che tratteggia con un duro lirismo la condizione delle due protagoniste, assillate dalla crisi economica e dalla preoccupazione di garantire un futuro dignitoso ai propri figli.
In questo senso, Toz Bezi va contro il tipico manicheismo didascalico che raffigura la donna islamica sottomessa a un mondo maschilista: Hatun e Nesrin sono mogli emancipate, orgogliose, in grado di cacciare i propri mariti, di umiliarli e di prendersi gioco di loro. Ed è questo, forse, l’aspetto più riuscito e profondo del film: al di là di ogni simbolismo, Öztürk sa essere delicata e sincera, elogia il coraggio, la pazienza e la forza d’animo delle sue protagoniste, poiché, come disse un celebre filosofo, l’essenza della donna è il saper resistere, nonostante tutto.