Si sa che Guillermo Del Toro ha una predilezione per alcune delle creature più inquietanti dell’immaginario letterario e cinematografico, come Frankenstein (uno dei suoi libri “formativi”), Dracula (la versione di Coppola è tra i suoi film preferiti) e naturalmente il Gill-Man, la Creatura innamorata di Il Mostro della Laguna Nera (1954, di Jack Arnold) che ha rifatto in chiave di fiaba moderna nel 2017 con La forma dell’acqua. Invece, l’autore tiene e precisare che Nightmare Alley, il suo nuovo film in uscita a fine 2021, non è un remake del film dallo stesso titolo diretto nel 1947 da Edmund Goulding, ma un nuovo adattamento del romanzo del ’46 di William Lindsay Gresham, più “nero” della versione di Goulding, che fu parecchio “addomesticata” dal produttore Darryl Zanuck, in continua lotta con Jules Furthman (un grande di Hollywood, tra gli sceneggiatori preferiti di Sternberg e Hawks) perché inserisse elementi positivi in una storia che, invece, è ambigua e contorta.
Nonostante le intromissioni della produzione, il film di Goulding pagò lo scotto di un’atmosfera disturbante, un pessimismo diffuso, una star romantica sbalzata in un ruolo sgradevole e oscuro. La star era Tyrone Power, che volle a tutti i costi la parte del protagonista, un personaggio contraddittorio, affascinante, intelligente e ambizioso ma anche opportunista e attratto dal lato oscuro della natura umana e per questo predestinato alla caduta. E volle alla regia Goulding, buon regista di mélo e di attrici (soprattutto Bette Davis), anch’egli depositario di un lato oscuro che non era mai riuscito a sviluppare in pieno nella sua carriera, che l’aveva diretto l’anno prima in un dramma di grande successo, Il filo del rasoio da Somerset Maughman.
Anche Nightmare Alley (in Italia, La fiera delle illusioni), presentato restaurato al Cinema Ritrovato di Bologna, ha alcuni elementi che rimandano al melodramma, su tutti il senso del destino che trascina lungo una strada tracciata Stanton Carlisle: giovane imbonitore da fiera, aiutante della chiaroveggente Zeena e di un mago alcolista ormai in disarmo, Stan si fa spiegare i suoi segreti da Zeena, per poi metterli in atto insieme alla sua giovane moglie e partner, con la quale diventa una star dei locali alla moda. Ma il Geek, dal quale era attratto quando lavorava nei baracconi della fiera, avrà la meglio. Il termine geek, che oggi ha un significato analogo a nerd, nell’Ottocento (e parte del Novecento) indicava i poveracci che, arrivati all’ultimo stadio della scala umana, si esibivano nelle fiere divorando mosche, insetti, serpenti, polli vivi. Un buco oscuro nel quale dormire, una coperta e una bottiglia di alcol al giorno erano la paga e l’unica aspirazione del Geek, dice a un certo punto il proprietario della fiera. Gira intorno a questa creatura non vista, e agli arcani maggiori dei tarocchi, la storia di Nightmare Alley, la cui parte iniziale è stata avvicinata a Freaks di Browning, nonostante poi il film viri in direzione noir, una sensazione accentuata dalla magnifica fotografia di Lee Garmes, colma di ombre e sospetti.
Il pubblico dell’epoca non gradì, spiazzato non solo dal personaggio “negativo” di Power, ma anche dall’atmosfera morbosa che si respira e che accomuna gli spettacoli più popolari con quelli destinati agli snob. Un pubblico comunque avido di sensazioni, che si muove tra i “mostri” in carne e ossa e quelli evocati dalla chiaroveggenza, dallo spiritismo e infine dall’inconscio. Una storia guidata per lo più da cattivi (uomini e donne), sfruttatori, imbroglioni, cinici, e diretta da Goulding con un gusto sicuro delle ellissi e della fatale predestinazione che aveva maneggiato tanto bene nei mélo precedenti. Aspettando il film di Del Toro, vale la pena di rivederlo, e magari di rileggere il romanzo, appena ripubblicato da Sellerio.