Proseguono gli omaggi dedicati a Carlo Mazzacurati, a due mesi dalla scomparsa. La Cineteca di Bologna sta proiettando tutti i suoi film al Lumière (Fantastic Mr. Carlo), ma anche alcune pellicole che hanno ispirato il suo cinema (dal 12 marzo al 14 aprile). Da domenica 30 marzo al 5 aprile, invece, ci sarà la retrospettiva della Cineteca di Milano, in programma al MIC – Museo Interattivo del Cinema.
In passato abbiamo già pubblicato un ricordo di Emanuela Martini e un'intervista realizzata da Chiara Borroni. In questa occasione vi proponiamo un testo di Barbara Sorrentini tratto dal libro "Entretiens Nanni Moretti" (a cura di Carlo Chatrian e Eugenio Renzi, ed. Cahiers du Cinema), pubblicato in occasione del Festival Internazionale del film di Locarno, 2008, che esplora il rapporto tra i due registi.
Regista originale e capace di raccontare nei suoi film (Vesna va veloce, Un’altra vita, Il prete bello, La lingua del santo) il nord est italiano, Mazzacurati esordisce alla regia con Notte Italiana. Sempre per la Sacher ha scritto Domani accadrà e diretto un episodio del film collettivo L’unico paese al mondo. Compare in alcuni film di Nanni Moretti: “Qui si entra nel campo del sadismo di Nanni o del mio masochismo. Lui sa che io mi vergogno e questo lo diverte. Ma è anche un modo per relazionarsi con gli amici che sceglie per le comparsate. E’ un suo modo di giocare e di mostrare affetto”. L’ultimo suo film è La giusta distanza.
«La prima volta che ho visto Nanni ero al cinema Rialto con mia moglie. Vivevamo da poco a Roma ed eravamo andati a vedere Siberiade di Konchalovskij, ma per qualche motivo avevano spostato l’orario della proiezione e vidi Moretti in ginocchio che implorava di rispettare l’orario, perché ci teneva tantissimo a vedere quel film. E’ rimasto in ginocchio molto tempo, convincendo il proiezionista. Qualche tempo dopo siamo diventati amici, giocavamo a calcetto insieme. Nanni ogni tanto mi chiedeva cosa facessi lì a Roma, mi diceva che non stavo combinando niente e mi consigliava di tornare a Padova.
Più avanti chiacchierando con lo sceneggiatore Franco Bernini a Milano, saltò fuori il nucleo centrale di Notte Italiana. L’idea era di proporre il soggetto a qualche produzione; ma nessuno sembrava interessato, non eravamo conosciuti e il nostro era un soggetto che stava in equilibrio tra il giallo e la commedia, non era semplice. Finché un giorno Nanni mi chiese di parlargliene, gli portai delle foto del Polesine, il luogo in cui avevo ambientato la storia. Ancora non so perché Nanni rimase colpito, penso per l’atmosfera e mi propose di fare la regia.
Notte Italiana è stato il primo film prodotto dalla Sacher Film. A distanza di vent’anni mi rendo conto che Nanni è stato piuttosto coraggioso e incosciente nel darmi fiducia, perché io avevo pochissima esperienza di set; avevo lavorato come ultimo assistente alla regia di Joseph Losey, nel Don Giovanni, e a ventidue anni con gli amici del cineclub di Padova girai un piccolo film, Vagabondi, che per fortuna finì distrutto.
Sul set Nanni si innervosiva moltissimo perché io sono di un’insicurezza che porta quasi alla disperazione. Mi ricordo che una volta stavamo girando una scena in un autobus a Padova, era un autobus affittato per la scena che non faceva le fermate; ad un certo punto, dopo una serie di ciak che non funzionavano, Nanni ha suonato il campanello per prenotare la fermata, è sceso dall’autobus e non è mai più tornato su quel set. Più avanti mi ha scritto spiegando che se n’era andato perché la sua presenza creava un po’ di squilibrio, perchè la troupe prestava molta attenzione alle cose che diceva lui, che non sempre combaciavano con il mio modo di lavorare.
Quando girammo L’unico paese al mondo era un momento di sbandamento e di paura profonda per l’arrivo di Berlusconi al governo. C’era la sensazione che nessuno stesse dicendo qualcosa di importante. Parallelamente c’era la difficoltà di esistere come identità collettiva, di fare cinema in un modo diverso. Credo che ci sia stato anche il bisogno di dare un’identità a un gruppo di persone, spinte dal tentativo di trovare qualcosa che potesse essere fatto insieme agli altri. Basti pensare a quanto è stata coesa la generazione del cinema del dopoguerra in Italia e quanto invece non lo sia mai stata nella nostra epoca, dalla seconda metà degli anni ’80 in poi. Forse è stato un tentativo velleitario, improvvisato, però credo che questo abbia messo in moto un’idea di lavoro collettivo, che in Italia non esisteva più.
La prima esperienza come comparsa è stata in Palombella Rossa. Dovevo fare un papà che camminava avanti e indietro con un cronometro in mano, durante una gara di nuoto del figlio. In Caro Diario mi ha fatto fare il critico nel letto, quando Nanni entra in camera mi insulta e mi fa piangere. Quella volta mi ha teso veramente un tranello, perché era un periodo in cui non stava girando un film e mi ha detto di andare da lui in ufficio perché mi doveva parlare. E poi con quel fare un po’ misterioso mi ha fatto indossare controvoglia una canottiera; mi ha fatto sdraiare su un lettino, poi è arrivato Beppe Lanci e Nanni mi ha detto di improvvisare, perché lui adesso mi avrebbe insultato. Mi è venuta un’agitazione, che collimava con lo stato d’ansia che serviva nella scena. Mi urlava: “Vergognati per quello che hai scritto!”. Io ho finto per piangere, ma ero già nello stato d’animo giusto per quella scena.
Ho avuto una parte anche in Aprile che per fortuna non è stata montata e per finire mi ha vestito da cameriere per Il Caimano. Era estate, faceva un caldo pazzesco e l’unico vestito che andava bene a me era di lana; dovevo girare in cucina e ci saranno stati quarantacinque gradi. Io ero sudatissimo, dovevo lanciare gli astici vivi e morti al povero Dario Cantarelli; abbiamo ripetuto vari ciak, anche perché Nanni si divertiva a cambiare la scena ogni volta.
Nanni è molto presente nella mia vita, anche nella mia famiglia. Io ho sempre vissuto l’ambiente del cinema un po’ da fuori, da estraneo e forse in modo un po’ provinciale. Però, Nanni per me è sempre stato un punto di riferimento, gli ho sempre parlato dei progetti che avevo in mente. Ha rivestito la figura di un fratello maggiore. Nanni è anche molto pratico, è un uomo di cinema in senso pieno, perché oltre alla sua idealità ha una concretezza che è molto istintiva, è un talento suo. Inoltre, Nanni è una delle persone che mi fa più ridere al mondo».