L’importanza del tempo e personaggi archetipi, definiti in base alla loro funzione. Questo è l’universo di Jon Fosse e non fa eccezione La ragazza sul divano: la Donna (Pamela Villoresi), artista che sta chiusa in casa ad aggiungere pennellate a un quadro che non vedrà mai la luce, l’Uomo (Valerio Binasco), suo marito, che non riesce a entrare davvero in relazione con lei. A farle visita da una porta che apre un varco dal passato i fantasmi del suo inconscio: la Ragazza del titolo (Giordana Faggiano), che altri non è se non la Donna da giovane, la Madre incattivita (Isabella Ferrari), la Sorella disinibita (Giulia Chiaramonte), lo Zio (Michele Di Mauro) che ha amleticamente sostituito il Padre (Fabrizio Contri), marinaio che ha scelto la via del mare.
Dopo Qualcuno arriverà (2007), E la notte canta (2008), Un giorno d’estate (2008), Sonno (2010) e Sogno d’autunno (2017), Valerio Binasco porta in scena La ragazza sul divano, scritto da Jon Fosse nel 2002 per il Festival di Edimburgo, dimostrando grande lungimiranza (la decisione precede di un anno l’attribuzione del Nobel allo scrittore e drammaturgo norvegese). Un autore poco frequentato in Italia (la maggior parte delle pièces e alcuni imprescindibili saggi sul suo teatro sono pubblicati da Cue Press, mentre Einaudi ha da poco dato alle stampe La ragazza sul divano nella traduzione di Graziella Perin). Un dramma in cui il non detto conta più di quello che viene detto, un testo profondamente umanista in cui passato e presente convivono perché è nel passato che risiede la verità delle nostre vite. Ne abbiamo parlato con Valerio Binasco.
(in copertina, da sinistra Michele Di Mauro, Giulia Chiaramonte, Isabella Ferrari, Giordana Faggiano, Valerio Binasco, Fabrizio Contri, Pamela Villoresi)
Per la sesta volta porti in scena Jon Fosse. Come è nata questa passione?
Non c’è una ragione precisa, è un autore che mi corrisponde. Spesso le persone a cui faccio leggere o propongo Jon Fosse si trovano spaesati. A me accade il contrario, mi risulta da sempre molto reale, caro. Ne comprendo, o meglio ho l’illusione di comprendere, un grado di realtà che è superiore allo stile astratto che apparentemente permea i suoi dialoghi. I quali sono molto reticenti, minimi, e quindi richiedono la capacità di intuire quello che non ci viene detto rispetto a quello che ci viene detto. Oltre a questo sento una certa affinità con i temi che tratta.
da sinistra Isabella Ferrari, Giordana Faggiano
Nel suo teatro ricorre la parola “pausa”, le didascalie sono ridotte, se non inesistenti, i dialoghi scarni, con parole che si ripetono. Che indicazioni hai dato agli attori?
Da memorizzare è difficilissimo ed è l’attività principale che gli attori fanno durante le prove cercando di ricordare anche tutte le ripetizioni, giustificandole con pensieri nuovi che dicono però le stesse parole di prima. La legge che governa il testo è la musicalità, si tratta quindi di stare più dentro alla musica che al senso compiuto di ciò che viene dichiarato. Per gli attori all’inizio non è semplice, ma poi diventa istintivo: anche nella vita reale le persone conversano più sospinte dalla musicalità che non dal senso stretto delle cose che dicono. Il lavoro consiste quindi nel tirare fuori - a matita perché sono frasi cancellabili e sostituibili con altre - tutto ciò che non è scritto, che il personaggio pensa e poi anziché dire ciò che pensa dice altro o il risultato dei suoi pensieri. Gli attori devono acquisire quell’abilità piuttosto rara che è di pensare quando si trovano in scena non solo a ciò che dicono, ma anche a ciò che tacciono. Per questo le pause non sono mai vuote o compiaciute, fini a sé stesse. Si visualizzano immagini, si ascoltano parole che poi verranno taciute e sostituite da altre. Per certi aspetti è un lavoro estremamente introspettivo.
Approcci Jon Fosse secondo una «via mediterranea». Cosa intendi?
Lo dico con una certa autoironia… Penso che un modo corretto di interpretare un autore di questo tipo sia di avere in scena attori molto composti, introversi, mentre a me piace spingerli a manifestare i loro sentimenti: se sentono la necessità di urlare, piangere lo concedo e, anzi, cerco di propiziarlo. I personaggi delle mie messinscene di Jon Fosse non sono avari nel manifestare i propri sentimenti, sono in lotta con il destino, con le parole che non sono più capaci di rappresentare i loro sentimenti, ma non sono mai in lotta con essi. L’emotività sembrerebbe non conciliarsi bene con questo teatro, invece a me viene naturale tenere in equilibrio i due elementi: la grande introversione che corrisponde all’autore e una estroversione emotiva che è quello che piace a me.
Michele Di Mauro, Isabella Ferrari
Il cinema torna come riferimento: Ingmar Bergman, Aki Kaurismäki. Agli attori fai vedere i loro film?
Provo sempre a fare Bergman senza riuscirci mai. Non faccio vedere niente, però propongo - soprattutto quando si affrontano drammaturgie che hanno bisogno di un approccio alla recitazione diverso da quello abituale - dei titoli. Nel caso di Jon Fosse, Kaurismäki e Bergman servono a me come regista per ispirarmi, poi li tradisco. Agli attori invece propongo di guardare Yasujirō Ozu che è stato l’unico regista nel quale mi sia imbattuto che è riuscito a portare in scena personaggi e dialoghi totalmente innocenti. Ci ha provato anche Robert Bresson, ma sento il peso della sua ricerca. Mentre la naturalezza vera, reale, profonda e trasparente che raggiunge Ozu, penso in particolare a Viaggio a Tokyo è una strada che dovrebbe incuriosire molto gli attori. Essere trasparenti significa che tra il loro pensare e il loro dire non dovrebbe esserci niente in mezzo. Si tratta di ispirazioni che poi vengono tradite dalla mia incapacità di arrivare così lontano… Un altro cineasta che mi ha colpito è Roy Anderson: tendo sempre a far vedere a scenografi e a costumisti Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza. Poi si prendono altre strade, ma sono punti di partenza importanti.
Qui e più in generale nel teatro di Jon Fosse gli uomini sono accessori, balbettano… Sono le donne a essere il centro propulsore.
Sì, è così. Non sono un esperto di Jon Fosse, sono un appassionato, ma la maggior parte dei testi che ho fatto vedevano figure femminili al centro del dramma. Il suo non è un teatro femminista, ma di sicuro La ragazza sul divano è un testo molto femminile dove le figure maschili sono accessori drammaturgici, inadeguati a comprendere il dramma interiore delle donne con le quali si relazionano. Molto frequente nella sua drammaturgia è la figura dell’uomo che sparisce vuoi perché se ne va lontano, vuoi perché incapace di reggere l’urto dei sentimenti che si manifestano nei legami familiari. E invece sembra che le protagoniste del suo teatro abbiano un incessante desiderio di dare e ricevere amore e attenzione. Gli uomini sono molto più disincantati, è come se avessero paura di ogni speranza e allora fuggono. Devo dire che è un sentimento che in qualche maniera riguarda anche a me. C’è invece un desiderio da parte delle donne, in questo testo in particolare, di essere viste, guardate, riconosciute. Chi è vittima di un abbandono così radicale e inspiegabile chiederà per tutta la vita con terrore di essere riconosciuta, ascoltata e vista. Ecco perché il marito della Donna, pur essendo un brav’uomo, non è in grado di corrispondere ai suoi bisogni perché sono troppo grandi, intrisi di un dolore che lui non sa comprendere, che non sa vedere.
Valerio Binasco, Pamela Villoresi
Peraltro questo aspetto si collega all’insistenza di lei che ripete: «So vedere ma non so dipingere».
Esatto. Non sapremo mai se parliamo di una grande artista in crisi, la cui crisi fa parte della sua ispirazione, o se davvero non sa dipingere. Lei sente di non saper dipingere ma vede tutto, percepisce tutto… L’arte è tante cose. Una volta una persona per troncare una relazione con me ha detto: “In fondo tu vedi solo quello che non c’è”. Aveva ragione, spesso mi capita di vedere soprattutto quello che non c’è. Vuol dire che c’è qualcosa in me che cerca disperatamente un mondo diverso da quello in cui si trova. Quando ho letto le parole pronunciate dalla Donna ho pensato: “Non so se ti so capire, Jon Fosse, ma di sicuro tu mi sai consolare”.
Produzione Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, Teatro Biondo Palermo
Prossime date:
Milano, Piccolo Teatro - Teatro Strehler 9-14 aprile
Roma, Teatro Vascello 16-21 aprile
Palermo, Teatro Biondo, 26 aprile - 5 maggio
Napoli, Teatro Mercadante, 7 - 12 maggio
Foto di Virginia Mingolla