Quinto incontro tra Luigi Pirandello e Stéphane Braunschweig: il regista francese, direttore artistico dell’Odéon – Théâtre de l’Europe di Parigi, dopo aver messo in scena Vestire gli ignudi, Sei personaggi in cerca d’autore, I giganti della montagna e Come tu mi vuoi (curandone anche le traduzioni in francese) ci regala un altro gioiello: La vita che ti diedi, testo scritto nel 1923 appositamente per Eleonora Duse - che non lo interpretò mai - in cui Pirandello analizza lo strazio di una madre costretta a fare i conti con la morte del figlio. Un dolore così innaturale si può affrontare solo trasformando la realtà e facendo continuare a vivere il figlio nel cuore della madre («Finché vivo io, mio figlio deve vivere») e ribaltando in maniera perturbante, e in ciò Pirandello eccelle, il punto di vista, per cui piangiamo il morto principalmente perché siamo noi a non essere più vivi per lui («perché chi muore non può più dare nessuna vita a noi»).
Braunschweig, che firma le scene con Lisetta Buccellato, segue le indicazioni di Pirandello optando per un allestimento spoglio, una panca e due sedie sul proscenio, lasciando grande spazio alla camera del defunto: la sua è un’assenza che grida e che abita tutta la casa, una camera azzurra (di simenoniana memoria) che quasi vira al verde (per dirla con François Truffaut). E sceglie come protagonista la sempre straordinaria Daria Deflorian, affiancata dall’eccellente Federica Fracassi, nel doppio ruolo di Donna Fiorina e di Francesca, Cecilia Bertozzi (Lucia), Fulvio Pepe (Don Giorgio e Giovanni), Enrica Origo (Elisabetta), Caterina Tieghi (Lida), Fabrizio Costella (Flavio). La Deflorian è perfetta nell’impersonare Anna Luna, composta e lucidissima nei suoi ragionamenti ed estremamente umana. L’abbiamo incontrata.
(in copertina Cecilia Bertozzi, Daria Deflorian)
Com’è stato il tuo approccio al personaggio di questa donna che nel suo delirio rimane lucidissima?
Non è facile parlarne perché questo connubio tra me e lei è ancora in corso. Sicuramente è stato difficile, perché la regia di Braunschweig mi ha imposto dei paletti, non lo dico in termini negativi, interessanti ma anti-istintivi rispetto a me: mi poneva condizioni di lavoro poco legate a come sono fatta io e quindi, inizialmente, ho lavorato cercando di mettermi più al servizio di una regia. È stato faticoso perché non sono abituata, lo faccio ogni tanto, magari con regie meno precise e puntuali, quasi concertistiche, come è invece quella di Braunschweig, però sempre nell’attenzione e nel bisogno, nella necessità di farmi riemergere. E quindi inizialmente vinceva un lavoro più legato alla durezza, alla distanza, al non sentire: questa donna per reggere la sua condizione, quella della morte ma anche quella della realtà degli altri, deve corazzarsi, è profondamente addolorata, ma non mostra il dolore. Il tempo è stato la ricchezza di questa esperienza: abbiamo avuto sei settimane di prove, fin dall’inizio dentro lo spazio, con i microfoni per quanto usati in maniera minimale, con elementi di costumi, quindi è stato molto interessante essere immersi senza premesse in questa realtà. Per me rimane intrigante verificare tutte le sere come la qualità della presenza in scena non dipende da solchi metodologici a cui rimanere aggrappati: uno dei vantaggi dell’invecchiare è che ti sedimenti, le esperienze ti rimangono dentro anche se ne stai vivendo di diverse.
Federica Fracassi, Daria Deflorian
Riesci ad attirare l’attenzione su di te anche quando non sei al centro della scena, penso in particolare alla scena in cui arrivano i figli di donna Fiorina, e tu sei seduta di lato…
Una delle cose che mi ha aiutato è che negli anni - con Antonio Tagliarini in particolare ma anche prima - ho sempre preferito essere in scena in una dimensione di ascolto anche quando non ero coinvolta. In La vita che ti diedi pur quando sono fuori scena, sto dentro e questo favorisce la continuità. È merito poi della regia di Braunschweig che ha curato anche le figure apparentemente più periferiche della storia, c’è una forte attenzione a tutta la dimensione del lavoro e non solo agli aspetti principali.
Spesso hai reso omaggio alle grandi interpreti (la Monica Vitti di Deserto rosso, la Stefania Sandrelli di Io la conoscevo bene, la Giulietta Masina di Ginger e Fred). Qui aleggia il fantasma di Eleonora Duse…
Il fantasma e anche il livello di relazione con quella che è stata l’artista per eccellenza… Pirandello ha scritto il testo pensando alla Duse, pensando - ne sono convinta - che lei lo avrebbe in qualche modo restituito. È stato un dubbio di lei, un’esigenza di Pirandello per ragioni produttive, a far debuttare lo spettacolo prima che la Duse venisse a capo delle sue incertezze: lei è partita e nella primavera è morta a Pittsburgh e quindi non lo ha mai interpretato. Per me fin dai tempi del DAMS, la figura di Eleonora Duse era un riferimento, diciamo un riferimento di antiretorica. Adesso ho potuto leggere molto su di lei, vedere tantissime immagini, scoprire angoli della sua personalità, per esempio il suo essere continuamente alla ricerca di testi, di parole. Non potevano essere le sue in quel caso, ma in fondo anche per me le mie parole nascono dalle parole degli altri e quindi mi sono molto appassionata. Ogni sera prima di entrare in scena il mio ultimo pensiero è a lei.
Federica Fracassi, Caterina Tieghi
E il progetto legato a Greta Garbo?
Per raccontarlo mi piace usare questa immagine: far vedere il sotto dell’iceberg. Quaderno/Greta Garbo ha a che vedere con una scena di Sovrimpressioni, l’ultimo spettacolo condiviso con Antonio Tagliarini, in cui durante le improvvisazioni in prova, mi è apparsa una figura che apparentemente non c’entrava con Ginger e Fred, ovvero Greta Garbo. Tutto il percorso è attraverso i quaderni e quindi faccio le improvvisazioni ma leggo anche parti del diario personale perché una volta che ti si apre un’ossessione non c’è una distinzione netta tra momento privato e momento di lavoro, c’è piuttosto un’osmosi. Ed è interessante per me farlo perché, come spesso mi succede da lettrice, il sotto dell’iceberg è quasi più interessante della punta spettacolare che ne viene fuori. E poi Greta Garbo è un’altra figura, un po’ come la Duse anche se diversissima, misteriosa. Ho scoperto, per esempio, che faceva mettere dei teli sul set perché solo il regista - talvolta l’operatore - poteva guardarla recitare perché se c’era qualcuno lei non ci riusciva. Ci sono storie sulla Garbo eccezionali, difficili da scoprire. Il libro straordinario che mi ha aperto questo amore e da cui è partita lamia indagine è Città sola di Olivia Laing, non un libro di cinema, ma sul rapporto solitudine-città-arte e lì ci sono alcune pagine sulla Garbo incredibili.
Negli ultimi anni ti abbiamo vista, in piccoli incisivi ruoli, anche al cinema (in Tre piani di Moretti, Rapito di Bellocchio, Le pupille e Lazzaro felice di Alice Rohrwacher…). A quando un ruolo da protagonista?
Mi piacerebbe tanto, ma un po’ è mancanza di rapporto con il mondo del cinema e un po’ un limite mio di calendario per cui non ho mai una disponibilità così ampia come richiede il cinema. Nel 2025, vorrei fermarmi un po’, stare più a Roma anche se in questo momento è una città molto difficile ma proprio per questo ha bisogno di persone che stiano lì, cerchino di lavorare lì. Vorrei studiare, insegnare, che è sempre importante, e avere un calendario più libero perché mi piacerebbe moltissimo avere un’occasione. Sono tutte bellissime occasioni quelle che ho avuto, peraltro in autunno uscirà la quarta stagione di L’amica geniale dove interpreto Adele Airota, la madre di Pietro. È stato molto bello lavorare con Laura Bispuri e nella quarta stagione la mia figura si apre a scene importanti. Insomma qualcosa è già avvenuto o è nell’aria…
Federica Fracassi, Enrica Origo, Fulvio Pepe, Daria Deflorian
Sei un’attrice/autrice con un modo di lavorare ben definito: parti da spunti autobiografici, coinvolgi gli attori nell’ideazione degli spettacoli… Dopo Diari d’amore di Nanni Moretti e La vita che ti diedi, tornerai a un tuo progetto: La vegetariana tratto dal romanzo di Han Kang che vedremo in autunno a Romaeuropa. Cosa ci puoi dire?
Quella con Moretti e Braunschweig è una importante parentesi, ma rimane tale, per me la strada principale è una forma di autorialità condivisa. Poi negli anni le cose cambiano: il rapporto così profondo e unico con Antonio Tagliarini si è in qualche modo trasformato, abbiamo sentito l’esigenza di fare esperienze diverse. Dovevo fare La vegetariana già in questa stagione, ma di fronte a queste occasioni ho avuto la possibilità, anche grazie alla comprensione dei miei collaboratori, di rimandarlo di un anno. Però avevo già cominciato a studiare lasciando un oggetto che è il frutto di un primo livello di riflessione su Han Kang, ovvero Elogio della vita a rovescio interpretato da Giulia Scotti. Sicuramente dopo un’esperienza così intensa come quella con Antonio non potevo ripartire subito, è stato un caso - come sempre il caso viene in soccorso a un bisogno che magari uno non sa leggere - ma aver messo del tempo prima di affrontare un progetto mio è stata una necessità del cuore. Aver messo un cuscinetto importante in cui mi sono misurata con un teatro “di prosa” - chiamiamolo così ma sono termini per fortuna desueti - è stato come andare a nutrire una parte che per un po’ di anni non avevo nutrito.
Peraltro firmi l’adattamento del romanzo con la sceneggiatrice Francesca Marciano.
Il rapporto con il cinema rimane forte, ho sempre amato la sua dimensione concisa, lo dico anche in Sovrimpressioni: “Com’è bello, due parole in croce e si capisce tutto”. Il desiderio è partito da quella riflessione, come poter evitare un po’ di più il racconto ed entrare profondamente nel testo, per questo ho chiesto la collaborazione di Francesca. Non a caso il sottotitolo è “Scene dal romanzo”, ed è un adattamento che in termini intermedi, poi vedremo cosa succede nelle prove, vuole e usa il linguaggio della sceneggiatura. Il cinema per me è un bellissimo fantasma, qualcosa che nutre la parte sotto dell’iceberg.
foto di Luigi De Palma
Produzione Teatro Stabile di Torino - Teatro Nazionale, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale
Prossime date:
Torino, Teatro Carignano 9-28 aprile
Pesaro, Teatro Rossini 2-5 maggio
Bologna, Teatro Arena del Sole 9-12 maggio