Dopo avere ottenuto l’Ubu 2022 per la regia di Con la carabina (premiato anche come miglior testo) Licia Lanera si è dedicata a un progetto che coltivava da tempo: portare in scena Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, raccolta di sei racconti uscita nel 1980. È la prima volta in oltre trent’anni che gli eredi concedono i diritti di un’opera di Tondelli ed è un segno importante di apertura per il riconoscimento di uno dei più importanti scrittori del Novecento (l’anno prossimo arriverà in sala anche l’adattamento di Camere separate di Luca Guadagnino).
Lanera sceglie tre racconti (Viaggio, Altri libertini e Autobahn), li asciuga, li interseca tra loro rendendoli un tutt’uno, facendone emergere le corrispondenze, li affida a tre straordinari attori (Roberto Magnani, Danilo Giuva e Giandomenico Cupaiuolo) e ritaglia per se stessa il ruolo della regista, per lo più seduta a una scrivania sul fondo, intenta a seguire il copione, o li affianca con la sua forza esplosiva.
Lanera dà corpo - letteralmente - a Tondelli e realizza uno spettacolo bellissimo che parla dell’oggi e della deriva cominciata proprio negli anni 80 con le parole dello scrittore che risuonano potenti e stordenti oggi come ieri: parole da leggere e rileggere e che nell’ascolto sembrano trovare la loro naturale collocazione. Abbiamo incontrato Licia Lanera.
Partiamo dal lavoro sul testo. Hai scelto tre racconti che sei riuscita a far risuonare tra loro. Quale criterio hai seguito?
Intanto la scelta dei tre racconti: cercavo quelli che mi hanno maggiormente toccato rispetto a ciò che mi interessava dire all'interno dello spettacolo, ma anche quelli che mi sembravano più giusti per essere rappresentati. Anche in base ai “soldati” che avevo scelto, mi sembrava che ognuno di loro potesse dare il contributo a questi tre racconti. Dopodiché sono passata ai tagli, un vero e proprio processo di asciugatura necessario per arrivare a una durata adatta a uno spettacolo. Sono arrivata in prova con i tre testi tagliati, ma non ancora incastrati perché volevo vedere quale fosse la strada giusta da seguire, se unirli o proporli uno dopo l’altro, ma ho capito già dopo le prime letture che era molto più interessante lavorare su un incastro benché potesse risultare un po' più difficoltoso dal punto di vista della comprensione per chi non avesse letto il testo.
Per Altri libertini ti sei presa il tuo tempo..
Sì, il tempo di gestazione dello spettacolo è stato lungo: ho iniziato a scrivere il testo a gennaio 2023, le prime prove risalgono a settembre di quell’anno e ha debuttato a ottobre 2024. Ovviamente con una serie di intervalli: abbiamo fatto circa 65 giorni di prove divisi in un anno ed è il mio modo ideale per provare. Poi c’erano degli stacchi, ognuno tornava ai propri impegni, è un modo anche per far decantare il lavoro, permette di ragionare sulle cose con calma.
Avevi previsto fin dall’inizio di affiancare i tuoi attori?
All’inizio io non dovevo essere in scena, ma proprio grazie a questa lunga gestazione, tra un ragionamento e l’altro e le visite a Correggio, ha iniziato a prendere forma l’idea che io, in qualche modo, ci dovevo stare sia per ragioni di rappresentazione - o meglio di anti-rappresentazione -, sia per questioni di cuore. Sollecitata anche da alcuni testi nell’archivio di Tondelli mai pubblicati, suoi pensieri, appunti su spettacoli che avrebbe dovuto fare e che non ha mai fatto, è venuta fuori l’idea di farmi portavoce di qualcosa che riguarda me, ma riguarda anche l’uomo Tondelli. Ho iniziato a buttare giù questo testo che ha avuto un rimaneggiamento continuo e così, dopo che avevo già fatto l'incastro dei tre racconti, ho inserito i pezzi miei e a luglio 2024 ho avuto la versione definitiva del testo. Sicuramente, per quanto mi riguarda, è stata in assoluto la parte più faticosa di tutto il lavoro.
Gli attori sono strepitosi, strumenti di una sinfonia che tu dirigi in scena…
Per me è fondamentale lavorare oltre che con attori bravi anche con persone con cui sto bene. La prima scintilla, quando ancora non sapevo nulla dello spettacolo, neanche quali racconti avrei scelto, è stata che dovessi farlo con loro tre. Ho convocato Danilo, Giandomenico e Roberto a Bologna, nell’ottobre 2022 (stavo debuttando con Love Me a Ert), per parlare del progetto. Il tempo lento che ci siamo presi è stato anche per stare insieme, andare ai concerti, a ballare, cazzeggiare… In più quello che raccontiamo ci riguarda e quindi ecco perché è anche così pregno di verità. E poi ci divertiamo molto durante lo spettacolo, siamo tutti profondamente affezionati a quello che stiamo facendo e penso si percepisca.
Molto d’effetto la cornice che costruisci legata all’uscita del romanzo e alle vostre storie personali in quell’Italia 1980 che diventa uno spartiacque (nasce Canale 5, imperversa Fantastico…)
Un legame che cercavo, perché in questo mio lavoro sicuramente c’è un interesse emotivo e letterario, però c’è anche un forte interesse politico. È qualcosa che faccio abitualmente nei miei spettacoli: per parlare dell'oggi e della questione politica dell'oggi non racconto episodi di cronaca contemporanea, ma cerco lo strumento per farlo nell’archetipo o in qualcosa del passato. Oggi guardo a quest’Italia così violenta, così razzista, così pudica, così cattolica, così di destra, così superficiale, così ignorante, così priva di creazioni culturali… Ho ritrovato le origini di questa decadenza in due saggi di Paolo Morando, Dancing Days: 1978-1979 e ’80 L’inizio della barbarie. Sono gli anni in cui inizia il “reflusso” e cambia la prospettiva, improvvisamente dalla questione pubblica si passa al privato, i collettivi, le manifestazioni, tutto quello che era stato la politica che era il centro anche delle produzioni artistiche e di una certa televisione, inizia a sparire. Questo ci porta fino a oggi in cui il nostro privato è l'unico centro del microspettacolo quotidiano che facciamo di noi stessi sui social e del grande spettacolo televisivo (ormai le trasmissioni sono tutte di gente che mette in piazza il proprio privato). Tutto ciò nasce nel 1980 quando sulla prima pagina del Corriere esce una specie di posta del cuore dove una donna racconta del tradimento del marito. Il 1980 è uno spartiacque, il fuoco è sull’individuo a discapito della collettività. Mi interessavano molto le ragioni e anche il disagio di chi questa roba la contrasta, non ci si riconosce e quindi ne soffre cercando le proprie vie di uscita oggi come allora. Lo spettacolo è anche una riflessione profonda sul presente che magari non è così immediata ma per me è fondamentale.
Il tuo spettacolo è densissimo e stratificato in più direzioni. Anche il rapporto figli-genitori è un tema…
Sicuramente… Appartengo a una generazione i cui genitori iniziano a invecchiare, ad ammalarsi, qualcuno a morire. E quindi inizi a fare i conti con la tua possibile condizione di orfano. Quando morì mia nonna, mio padre dopo il funerale mi portò in un supermercato: riempimmo un carrello gigante di tutte schifezze da mangiare e quello fu il suo modo per andare oltre, rifondando con la vita e con il gioco una nuova vita, la mia che ero bambina. Noi siamo tutti perennemente figli perché non siamo genitori e questo ci mette ancora di più una condizione di filiazione. Non so cos’è essere genitori, ma immagino che quando fai quello scatto, non che tu non sia più figlio e non soffra della morte di un genitore, però in qualche modo attivi un nuovo ciclo dell’esistenza. Moltissimi miei coetanei non sono genitori perché la nostra generazione di quarantenni è rimasta schiacciata tra il vecchio e il nuovo mondo, tra i giovani disillusi e la vecchia generazione che ci diceva ancora che c'era il posto statale, che la vita era fatta di matrimonio, figli, senza sapere più bene cosa doveva fare. Molti di noi non hanno fatto altro che soccombere emotivamente, sentimentalmente, psicologicamente e lavorativamente a questo passaggio.
Per la prima volta gli eredi di Pier Vittorio Tondelli hanno concesso i diritti di una sua opera. Come hai fatto a convincerli?
In realtà non ho fatto nulla. Ho scritto una mail a Giulio Tondelli, il fratello di Pier Vittorio, a gennaio 2023. Sapevo che c'era una famiglia abbastanza restia ma ignoravo che non ci fossero precedenti, quindi in maniera totalmente candida ho raccontato il mio progetto e la mia passione per Tondelli. Sono seguite altre mail e lui continuava a temporeggiare per cui a un certo punto ho abbandonato il progetto. Dopo sei mesi, ero a Tokyo, mi arriva una mail in cui Giulio mi dice che ha risolto tutte le questioni e mi cede i diritti gratuitamente (sottolineo che ho avuto i diritti a titolo totalmente gratuito, e questo non succede praticamente mai). Ho saputo in un secondo tempo che in quei sei mesi la famiglia ha studiato il mio profilo per filo e per segno. Quando poi ho incontrato Giulio Tondelli mi ha detto: “È una cosa che non ho mai fatto, però un po’ i tempi sono cambiati, un po’ io sto invecchiando, un po’ mi sento che lo devo fare con te” (anzi con “lei” perché all’inizio mi dava del lei).
Questo atteggiamento di chiusura ha però fatto sì che uno dei più grandi scrittori del Novecento, sia stato relegato in una nicchia…
Correggio è un paese di provincia, estremamente borghese. Nel 1991 quando Pier Vittorio è morto di AIDS, la famiglia - una famiglia molto cattolica e molto perbene - ha subito l’oltraggio e l’aggressione della comunità circostante. La famiglia amava molto Pier Vittorio e i suoi scritti, non se ne vergognava, amavano ed erano estremamente orgogliosi del lavoro del figlio. So che è stata un'esperienza dolorosissima per tutta la famiglia, per la madre che ha sofferto sia la morte di un figlio sia l'oltraggio della comunità. Credo che anche per questo abbiano voluto in qualche modo chiudere, giusto o sbagliato che fosse, questo tipo di diffusione. Quando cantiamo Sono un ribelle mamma escono i nomi delle nostre madri e in ultimo c'è scritto “Marta che ha dedicato la sua vita alla famiglia”: Marta è la mamma di Tondelli e questa frase l'ha scritta Giulio.
È chiaro che lo spettacolo stesso può essere un modo per far conoscere Pier Vittorio Tondelli a chi non lo conosce e a farlo rispolverare a chi già lo conosce, limitandolo se ne limita anche la diffusione. È uno scrittore che è stato anche un baluardo del mondo omosessuale, tuttavia non può essere - in questo sono d’accordo - relegato solo in quella categoria, lui stesso nelle interviste dopo Camere separate diceva: “Basta con la questione omosessuale… io ho raccontato una storia d’amore, sono due maschi, due femmine, cosa importa?”. Era veramente oltre.
Anche nell’intervista a Fulvio Panzeri, riportata nel libretto dello spettacolo e contenuta in Viaggiatore solitario. Interviste e conversazioni 1980-1981 (Bompiani, 2021), parlando di Altri libertini sottolinea: «Ho sempre detto che si tratta di storie e non c’è niente di autobiografico».
Limitare un autore così grandioso, anche solo per la lingua che utilizza, a quell’aspetto è riduttivo. Può darsi abbia giocato a mio favore anche il fatto di essere donna, con un approccio di interesse alla letteratura e non alla questione omosessuale. Poi nello spettacolo la questione c’è, non è che la vado scansando, ma insieme a quella della droga, dell’abbandono, del sentirsi ai margini, dei soldi, del non trovare il proprio posto nel mondo… Il discorso dei “tribolati” è un discorso che a teatro mi interessa moltissimo perché è uno dei pochi luoghi in cui ancora ci si può permettere di parlare con dignità dei peggiori dato che sui social, in televisione, al cinema, sono tutti migliori, vincenti, ricchi…
Nel finale i tre personaggi si vestono in maniera identica e ricordano Tondelli in alcune foto. È corretto?
Sì, nella sua ultima foto pubblica scattata sulla spiaggia di Riccione e risalente al 1990 è vestito con quel cappotto e quella sciarpa. Per aiutare il pubblico ne ho acquistato i diritti e infatti la locandina e le cartoline riportano quella foto. Molti pensano che alla fine i tre si sono imborghesiti, può essere una lettura, ma per me è un chiaro segno: è un lavoro sulla letteratura e lì in qualche modo la parola stessa si fa carne e quindi l’immagine dell’autore prende corpo attraverso gli attori.
Ascoltare Siamo solo noi di Vasco Rossi (1981) all’interno del tuo spettacolo acquista un senso ben preciso e anche una forza inedita.
Cercavo un orizzonte musicale, mi sono interrogata varie volte, e quando sono andata al Centro Studi ho visto la sua macchina da scrivere con appiccicati degli adesivi di cose a cui Pier Vittorio era legato. Uno di questi è l’adesivo di Punto Radio, la radio fondata da Vasco prima che diventasse famoso. Era una radio che Pier Vittorio adorava, così come adorava Vasco. Io Vasco l’ho riscoperto recentemente e queste due cose hanno fatto cortocircuito: Vasco che racconta sempre dello sballo e l’adesivo sulla macchina da scrivere. Siamo solo noi mi sembrava molto giusto per lo spettacolo, ma anche un po’ per noi.
Foto di Manuela Giusto
Prossime date
Bari Teatro Piccinni 23-24 novembre 2024
Brescia Teatro Borsoni 9 dicembre 2024 (Duende Festival)
Correggio (RE) Teatro Asioli 13 dicembre 2024
Bologna Arena del Sole 14-15 dicembre 2024