Il delta del Po è l’insieme delle diramazioni fluviali che permettono al fiume di sfociare nel mare Adriatico settentrionale dopo aver attraversato tutta la pianura Padana. Un territorio di interesse geografico ma anche economico, con presenza di zone dedicate alla pesca e alla piscicoltura e il Distretto Ittico di Rovigo istituito nel 2003. Nel film di Michele Vannucci, il delta diventa un luogo di frontiera e di scontro tra pescatori e bracconieri. Tra chi vuole salvaguardare il fiume dalla pesca cruenta e con tecniche esplosive e chi invece dallo sfruttamento del fiume trae la propria sopravvivenza quotidiana, costi quel che costi. A rappresentare questi due modi di pensiero ci sono due uomini: Osso (Luigi Lo Cascio) ed Elia (Alessandro Borghi), il buono e il cattivo. Due persone che si trovano l’una contro l’altra in una spirale di vendetta e rappresaglia che finirà per portarli al parossismo della ragione.
Delta è un film pieno di buone intenzioni e, soprattutto, di paesaggi straordinari. Una fotografia desaturata racconta con realismo immersivo questo tratto paesaggistico dove la natura la fa da protagonista. Terra, acqua, lagune, dune. Una vastità di ambienti e di vegetazione. Le canne, le colonie di fenicotteri, le zone umide, i casolari abbandonati. Un paesaggio affascinante che il regista ci restituisce sullo schermo rappresentato da una prospettiva privilegiata, la vista dall’acqua, attraverso i suoi canali. Emerge quindi la potenza visiva di questo mondo sospeso tra acqua e terra, uomo e natura, civiltà e distesa selvaggia. In questo ambiente affascinante, si svolge un racconto di scontro tra stili di vita differenti, prima, e poi di gelosia e vendetta. L’ex moglie di Osso, della quale lui è ancora innamorato, scappa con Elia ma poi non regge la fuga e ritorna indietro. Elia, ricercato per aver ucciso un barista disonesto e trafficone, finisce per assassinare anche la sorella di Osso, scatenando una serrata caccia all’uomo. Nonostante egli sia braccato da elicotteri e una quantità inverosimile di forze dell’ordine, viene trovato proprio da Osso che lo imprigiona aspettando di trovare il coraggio di ucciderlo e che poi gli spara proprio mentre lo sta facendo scappare su una barca.
Questi personaggi, forse un po’ troppo shakespeariani per integrarsi nel mondo rurale da cui scaturiscono, convincono fino a un certo punto, finendo per restare intrappolati nell’enfasi di una narrazione che fa dell’eccesso accumulativo il suo marchio distintivo. Basti pensare al rapporto tra immagini e sound design. Sono così forti, intensi e avvincenti i suoni reali – il rumore delle barche che fendono l’acqua, lo strusciare delle canne, l’assordante pala degli elicotteri – che risulta pleonastica e ridondante l’onnipresente musica e gli effetti sonori che straripano sulle immagini come un fiume che esonda. A tal punto che, nella scena più intensa del film, dove viene uccisa la sorella di Olmo, l’aspetto sonoro è stato così portato all’eccesso precedentemente che l’unico modo per rendere più intenso quel momento è stato sospendere l’audio per esprimere l’acme del dolore. C’era così tanto potenziale di realtà in queste immagini, che spiace vederle annientate dall’utilizzo demagogico e spettacolarizzato del sonoro. Antonioni, quando gli rimproveravano l’assenza di musica nei suoi film, replicava che la vita, quella vera, non ha l’accompagnamento musicale, tanto più, com’è nel caso di Delta, quando la storia è uno sguardo importante su uno squarcio reale poco conosciuto della provincia italiana.