Di fronte al paesaggio devastato da palazzoni e nuovi grattacieli, anonimi dormitori in costruzione, la riappropriazione dello spazio passa attraverso il corpo, unica arma a disposizione per occupare un territorio, con i propri umori, il proprio desiderio.
Il protagonista vaga nel quartiere della sua infanzia, irriconoscibile e deturpato, un enorme cantiere a cielo aperto. Trascorre le sue giornate col compagno, chiacchierando con un amico poeta che vorrebbe suicidarsi, incrociando un altro amico ossessionato dal cinema horror, e trovando nel sesso una via di liberazione.
Originale e poetico, Nova Dubai, mette in scena la sessualità in maniera esplicita, rifacendosi ai codici della pornografia omosessuale, ma ribaltandone l’oscenità: la vera pornografia è data dalla mutazione brutale del paesaggio, dalle costruzioni che occupano uno spazio vitale, soffocando qualsiasi bellezza, mentre, ciò che normalmente dovrebbe stare fuori scena (ob-scena), ossia il rapporto intimo, occupa la scena e si contrappone alla mortificazione del territorio. Grazie a una sorprendente ironia, Gustavo Vinagre porta avanti con intelligenza una lotta personalissima (e condivisibile) contro la cultura capitalistica che tutto livella e tutto abbruttisce.
Da questo punto di vista risulta emblematica la sequenza in cui il protagonista va col compagno a visitare un appartamento in vendita, economicamente non alla sua portata, nel quartiere che dà il titolo al film, Nova Dubai appunto, in un grottesco rimando alla ricchezza esibita dai giganteschi e lussuosissimi grattacieli dell’Emirato Arabo. Il giovane uomo dell’agenzia immobiliare descrive il luogo come fosse un nuovo paradiso, moderno, rinnovato. Nella sequenza successiva si assiste a uno stupro ai danni di quest’ultimo da parte dei due ragazzi. Nonostante le immagini siano inizialmente respingenti, è piuttosto chiaro che l’atto violento viene compiuto per liberare il dipendente dell’agenzia dalla paccottiglia culturale dalla quale è contagiato (ciò che dice per vendere l’appartamento è francamente insostenibile, oltre che ridicolo), essendo parte di quello stesso sistema devastato e devastante. Alla fine sarà lui a chiedere ai due ragazzi di fare l’amore, sentendosi finalmente purificato e liberato.
Allo stesso modo, il suicidio finale dell’amico poeta, aiutato a morire dai due ragazzi - che preparano il cappio e sostengono il suo corpo, come fosse un Cristo morente, prima di lasciarlo appeso a un albero -, non va interpretata come una sconfitta ma come una conquista: la morte diventa una liberazione per il ragazzo, che non usciva più di casa, stava tutto il giorno coricato nell’attesa di ricevere la visita degli amici, le uniche persone con cui avesse ormai un contatto.
In un ambiente totalmente spersonalizzato – non solo il quartiere nuovo, ma anche la ripetitività delle sinossi del cinema horror che, private di uno stile cinematografico, sembrano assomigliarsi tutte, i video trovati in Internet, gli annunci per incontri, con la descrizione del profilo personale che muove la risata per la miseria e l’idiozia di ciò che viene presentato di sé, totalmente compromesso con un immaginario pubblicitario – quel che resta di personale sono la saliva, lo sperma, la pelle e la vita.
Scegliere con fermezza di fare della propria esistenza e del proprio corpo quel che si vuole, imporre con forza la propria presenza, diventano delle manifestazioni di lotta. E il gesto compiuto dal protagonista, verso la fine del film, quando in piedi su un cavalcavia, riesce per un istante a sovrastare il paesaggio circostante e a spargere attorno i suoi umori, nel luogo che lo ha visto crescere, non può che essere letta come una vittoria.