Con Razredni Sovraznik (Nemico di classe) - passato alla Settimana della Critica - il ventottenne sloveno Rok Bicek firma un'opera prima radicale e ambiziosa. Il soggetto è tutto fuorché inconsueto: l'evoluzione degli stati d'animo di un gruppo di studenti rimasti sconvolti dal suicidio improvviso di una loro compagna. Eppure stavolta sembra esserci qualcosa di diverso. Forse un colpevole: il nuovo, severo professore di tedesco che ha appena sostituito la capoclasse amata da tutti, entrata in maternità.
Il professor Zupan li costringe a esprimersi solo in tedesco, li tratta da "perdenti", li umilia con domande capziose a cui solo il secchione del primo banco tenta di rispondere. Ha fatto così anche con Sabina, mentre nell'ora di ricreazione l'ha vista suonare il pianoforte. Poi hanno parlato ed è scesa qualche lacrima. Possibile che sia bastato questo a scatenare il gesto della ragazza? E' una delle tante false piste che Bicek disseminerà lungo il film, tant'è che la prova di forza ingaggiata dagli studenti - prima si coalizzano contro il prof "nazi", poi tentano di boicottare l'intero istituto - finirà per assomigliare molto a quella dello spettatore.
In quanti conoscevano davvero la ragazza con il maglione color ocra e i lunghi capelli neri? Che cosa poteva renderla così malinconica? Bicek in quasi due ore di film non molla mai l'osso, non teme di annoiare e neppure di eccedere. Firma un atto unico inesorabile e oppressivo, la macchina da presa non esce mai dalle mura scolastiche, se non nell'arioso e suggestivo finale. Affronta, nei numerosi ping-pong dialettici tra professore e allievi, temi alti e difficili come quello della morte, della responsabilità personale di fronte alle decisioni che dobbiamo prendere nella vita, della verità.
Sembra lavorare di accumulo attorno a una forma tradizionale di detection, che ha avuto un inizio e deve dunque avere una fine, ma in realtà, sequenza dopo sequenza, ci toglie il terreno sotto i piedi. "Studiare vuol dire non sapere, volere è non potere" ha scritto Ivan Cankar, il più grande scrittore sloveno del Novecento. Forse non è un caso che sia stato proprio il professor Zupan a citarlo durante una lezione. Così come capita ai ragazzi in classe - che si arrabbiano, esigono una risposta, ambiscono a trovare un capro espiatorio e dunque una spiegazione - anche noi, insieme a loro, scopriremo sfumature e tracce di una storia ben più complicata. Che ci illudevamo di conoscere.