Assimilabile, per traslazione, agli stilemi del cinema western (lo spietato duello raggiunge raffinate punte di crudeltà), il film Via Castellana Bandiera di Emma Dante è chiaramente da leggersi in chiave metaforica, quella, anche, di un paese, l’Italia, bloccato in uno stallo continuo: «No, non mi dispiace affatto che il mio film venga definito un western, anzi – dice la regista parlando in conferenza stampa – anche perché ho sempre desiderato girarne uno. C’è sempre una sfida con l’altro, con il diverso da sé».
«Per quanto riguarda il passaggio dalla pagina scritta del romanzo alle immagini del film, devo dire che si è trattato di uno sconfinamento naturale. Mentre lo scrivevo avevo già in mente il cinema, perché avevo bisogno di strada, di polvere, di carne».
«Perché le protagoniste sono due lesbiche? Per me Rosa e Clara sono solo due persone che si amano. Sono stanca di sopravvalutare le storie omosessuali, come se si dovesse ogni volta raccontare un amore diverso, vorrei che fossero considerate naturali. Rosa e Clara in quella via sono libere».
«Come ho girato il film? Beh, applicando lo stesso metodo che uso in teatro con la mia compagnia. Abbiamo fatto un mese e mezzo di prove con gli attori, in teatro, riuscendo a creare così una squadra molto forte».
«Sì, il film va letto in chiave metaforica, può essere lo specchio di questa Italia bloccata in uno stallo continuo. Così come la sequenza finale può dirci che siamo sull’orlo di un precipizio, ma non ne cogliamo la gravità, perché non siamo più nemmeno capaci di cadere».
«Credo che la cocciutaggine delle due donne rappresenti un’ottusa tenacia, che, rispecchiandosi l’una nell’altra, le costringe a guardarsi dentro. Come il Minotauro che guardandosi allo specchio si riconosce mostro, così le due donne scoprono di essere due mostri, ma questo mi piace, perché l’esperienza che fanno modifica il loro carattere e questo le rende umane».