«Au premier plan – mi fa terrore». Così scriveva Eleonora Duse a Febo Mari, regista dell’unico film a cui l’attrice partecipò, Cenere, nel 1916. Duse di Pietro Marcello è invece un film in primo piano – il primissimo piano di Valeria Bruni Tedeschi. Da questo paradosso, ovvero guardare da vicino l’ultima fase della vita e della carriera di un’attrice tanto famosa quanto misteriosa, prende le mosse un ritratto che si nutre dell’ambigua sovrapposizione tra attrice e attrice, tra biografia e invenzione, tra interpretazione e rivelazione di sé.
Raccontando gli ultimi anni della vita di una attrice leggendaria, Marcello si concentra sulla vicenda personale, sul tempo della vita di una donna inquieta, consumata e tenacissima, ma tiene sempre vivo il contatto con il tempo della Storia. L’archivio, come in altri suoi film, funge da contrappunto e da squarcio prospettico. Qui sono innanzitutto le immagini del corteo del Milite Ignoto – che richiamano idealmente quelle del lungo funerale che riporta il corpo della Duse da Pittsburgh fino ad Asolo – a scandire come rintocchi la transizione di un paese che dalle trincee della Grande Guerra approda al regime fascista. Il repertorio, uniformato da cromatismi tenui che richiamano le colorazioni fatte a mano, ci aiuta a decifrare Eleonora Duse, a comprendere la figura emblematica, quasi archetipica, di questa artista leggendaria. A Marcello interessa soprattutto cogliere un passaggio, un cambio di passo nella vita di una donna vissuta a cavallo di due secoli: ha calcato i palcoscenici di tutto il mondo, ha incontrando il cinema ed è incappata in un sodalizio personale e artistico con Gabriele D’Annunzio.
Quando Duse decide di tornare al teatro ha sessantatré anni, problemi di salute e di soldi. Ricominciare a recitare dopo dodici anni di assenza vuol dire riprendere in mano la propria presenza dentro e fuori dal palcoscenico, fare i conti con la propria età, con i capelli bianchi, il viso segnato, con una figlia cresciuta in collegio e soprattutto con le rapide evoluzioni politiche, di gusto e sensibilità. È questo frangente che Marcello vuole cogliere, più di tutto. E, per farlo, si affida a Valeria Bruni Tedeschi, che trova nel personaggio di Eleonora Duse un territorio fertile per esplorare la propria identità di attrice, per guardarsi dentro. D’altronde, come scrisse la Duse, l’obiettivo del cinema «è un vetro che vede le anime». L’una lo temeva, l’altra invece lo usa, per mettersi alla prova, per vedersi au premier plan.
Bruni Tedeschi non è alla ricerca di una chiave per capire l’arte della Duse, ma è in sintonia con una figura femminile complessa e sempre in bilico, antica e moderna, che vive intensamente, tra drammi e improvvisa levità, il tempo che passa. La rivoluzionaria intensità di cui la Duse fu portatrice, quella presenza che ispirò e travolse gli spettatori, entrano solo tangenzialmente in questo ritratto romanzato, mentre le relazioni personali, le figure che la circondano (la figlia Enrichetta/Noémie Merlant e Memo Benassi/Vincenzo Nemolato), diventano altri occhi che scrutano questa donna inafferrabile, figure a cui Marcello dà consistenza e vita. Duse è il ritratto di un’artista che fu giovane, è un film tumultuoso sulla vecchiaia, capace di cogliere l’energia del tempo storico e l’irrequietezza di una donna che lo sta attraversando.