Lubitsch al volante. Billy Wilder e Charles Brackett alla sceneggiatura. La comunista Greta Garbo. I tre bolscevichi Buljanoff, Iranoff e Kopalski. Il soave conte Leon D'Algout, Melvyn Douglas (la prima scelta era Cary Grant).
Non è che adesso bisogna star qui a dire che film meraviglioso è Ninotchka. Ritorna in sala ed è festa. Chi lo sa a memoria ripassa le battute. Chi non le sa ne impari qualcuna.
Apertura in voce off: «Bei tempi quando a Parigi sirena voleva dire una brunetta, non un allarme» (il film è del 1939).
Discussione fra i tre commissari per decidere se andare in un hotel di lusso: «Ma certo, ne va del prestigio dei bolscevichi». E comincia la fatale discesa verso i decadenti piaceri del capitalismo. Caviale, champagne, sigaraie in gonnelline corte e Lubitsch che, come si sa, ama follemente le porte chiuse, suo fuoricampo preferito, e sta fuori dalla porta ad ascoltare l'esultanza dei tre.
E arriva in treno la severa Nina Ivanovna Yakushova che non vuole un facchino: «Questo non è un lavoro. That's social injustice». Come va in Russia? Lei: «Gli ultimi processi di massa sono stati un grande successo. Ci saranno meno russi ma migliori» (processi staliniani: e qui sentiamo Lubitsch che ringhia!).
E l'incontro per strada con Leon che si dichiara affascinato dai piani quinquennali degli ultimi quindici anni. E lei che davanti al maggiordomo di Leon, nell'appartamento art déco, fa: «Sembra triste. Lo frusta?». E le cornee! E lei che gli mostra la ferita (alla nuca) subita a Varsavia a sedici anni. E Leon entusiasta che, sul bacio, esclama: «My barbaric Ninotchka! My impossible, unromantic, statistical Ninotchka!» (e questa, detta alla Garbo, è fenomenale!). E il cappellino a ciminiera molto chic e operaista, e la Garbo che ride! finalmente! e lei che capisce perché le rondini migrano verso i paesi capitalisti, o sempre lei, raggiante, sul divano con Leon e con i suoi i baci, o lei, sempre lei, finalmente ubriaca mentre danza e chiama «Comrades! Comrades!», o lei, molto ubriaca, fucilata da Leon con il tappo dello champagne! E l'incoronazione di lei: «Is this the wish of the masses? Thank you, masses». E il discorso al popolo: «Comrades! People of the world! The revolution is on the march!... But not yet, please. Wait. What's the hurry? Give us our moment. Let's be happy». Per fare una buona rivoluzione bisognerebbe essere felici. E avanti così fino alla fine, con la consueta sicura brillantezza di Lubitsch. Cosa volere di più.
Lo so, ho messo troppi punti esclamativi: da quello del titolo a quello con cui finisco tra una riga. E dire che ne ho tolti parecchi. Ma Lubitsch fa questo effetto. Viene da esclamare!