«A che serve un campo da golf? A giocare a golf. E un campo da tennis? A giocare a tennis. E un campo di prigionia? Serve a scappare, no?».
Storia di un'evasione.
Il film più visto di Jean Renoir, proprio perché è la storia di un'evasione e le storie di evasione piacciono sempre. Evadere da un campo di prigionia tedesco, nel 1916.
Comandante della prigione tedesca è il capitano von Rauffenstein, un Erich von Stroheim con il monocolo, ferito più volte, quasi immobilizzato da un rigido busto e da un alto collare, con una placca nel cranio. Tra i prigionieri francesi ci sono Jean Gabin, il tenente pilota Maréchal, origini proletarie, e Pierre Fresnay, il capitano de Boëldieu, un aristocratico. Altri francesi prigionieri: un attore di music-hall e Rosenthal, proprietario di una casa di moda che riceve pacchi di viveri. I prigionieri scavano un tunnel per fuggire. Ma tutto si complica: gli ufficiali vengono trasferiti in una fortezza.
Film meravigliosamente costruito per restringimenti progressivi. Il campo di prigionia con tante figure descritte con amorevole simpatia. Poi, la fortezza con un piccolo gruppo di persone. Infine, l'isola di tre persone e una bambina nella parte finale, in campagna, sulle colline, tra la neve. Un itinerario verso la libertà. Con la forza, la freschezza, l'eleganza del cinema di Renoir.
Temi portanti: la solidarietà di classe che supera confini e nazioni, il rispetto profondo tra gli ufficiali aristocratici, di parti nemiche, von Rauffenstein e Boëldieu; anche una certa qual diffidenza tra due uomini di uguale nazionalità ma di classi diverse, l'aristocratico Boëldieu e il proletario Maréchal. Tra tutti, tra gli “alti” e i “bassi”, tedeschi e francesi, solo nobiltà d'animo, franca amicizia e quello spirito cavalleresco, quasi ariostesco, tra militari che sono anzitutto uomini d'onore. Gli stati, la guerra e le frontiere li dividono, non il loro essere uomini e soldati. Utopia renoiriana della generosità.
Stringono e allargano il cuore il momento del geranio, unico fiore nella fortezza, còlto per onorare il nemico, il canto emozionante della Marsigliese, la vita lontano dalla guerra con la donna e la bambina, l'addio e, forse, il ritrovarsi se non ci sarà più la guerra.
E tanti sono i tocchi di Renoir, umanissimi. Il Renoir touch. Quel cartello all'inizio, sul bancone del bar del campo di prigionia: Escadrille MF 902. L'alcool tue! L'alcool rend fou! Le chef d'escadrille en boit!! L'ufficiale tedesco che taglia la carne a Maréchal che ha il braccio ferito e immobilizzato. Le corone di fiori per i caduti nemici. Le calze di seta da toccare: «Lasciami sognare ancora un po'». Il pierrot vegetariano (e becco!). Quella meravigliosa canzone: «Si tu veux faire mon bonheur, Marguerite, Marguerite, donne-moi ton coeur...» (canzone del 1913, cantata dal celebre Fragson). Le girls che cantano «It's a long way to Tipperary». Maréchal, cinque tentativi di evasione di cui uno vestito da donna, un uomo l'ha preso per una vera donna «e io non l'ho sopportato». E via e via lungo un film di guerra così bello e affettuoso che quasi sembra che la guerra non ci sia.