Quello di Alan Parker è stato a lungo un cinema adolescenziale, di formazione ed educazione alla vita, per questo amatissimo da chi è cresciuto negli anni Ottanta e dai suoi film più noti, in adolescenza, ha imparato molto: il senso di un’amicizia (Birdy - Le ali della libertà), la forza delle passioni (Saranno famosi, The Commitments), il valore della libertà (Fuga di mezzanotte, Benvenuti in paradiso), la violenza come sistema (Pink Floyd - The Wall, Mississippi Burning - Le radici dell’odio), la seduzione del male e il sesso (Angel Heart - Ascensore per l’inferno).
Tra la sua Inghilterra e gli Stati Uniti, tra la fine degli anni '70 e almeno fino ai primi '90, è stato un artigiano che ha potuto ambire al ruolo di autore, legato a una produzione hollywoodiana «impegnata», educativa per l’appunto, che rifletteva le tensioni e le mode soprattutto della società americana del tempo, dalla deriva della cultura giovanile ai suoi rinnovati sogni di successo, dalla revisione della tragedia del Vietnam, ai rigurgiti razzisti del vecchio sud, alla crisi del modello familiare e borghese (Spara alla luna, che andrebbe rivisto insieme al quasi coevo Gente comune).
Alan Parker autore lo è stato per davvero, per quanto in un’accezione un po’ rigida e impersonale del temine, sempre lavorando alla maniera della pubblicità da cui proveniva e da cui diceva di aver imparato tutto: impegnandosi in progetti altrui di cui s’impossessava con una professionalità inattaccabile e con uno stile forse estetizzante ma capace con assoluta precisione di entrare nel tempo, negli spazi, negli umori dei mondi meravigliosamente raccontati: la provincia americana degli anni ’60, New York negli anni '50 e la New Orleans della magia nera, i quartieri popolari di Dublino, l’orrore di una prigione turca, la società americana del primo ’900 (nel sottovalutato Morti di salute, per molti versi profetico sulle ossessioni alimentari dei decenni successivi). Nei suoi film c’era sempre una componente violenta, eccessiva, passionale che eccedeva la norma, l’eleganza da cinema di serie A, come i ritmi ossessivi della musica di Peter Gabriel in Birdy, la resa visiva della follia watersiana di The Wall, il surrealismo del mondo alla rovescia di Piccoli gangster, i metodi spicci di Gene Hackman e la paura negli occhi di Brad Dourif in Mississippi Burning e naturalmente l’aria malsana e perturbante di Angel Heart, capolavoro fuori schema e fuori tono, con un De Niro mai così lontano da sé stesso e mai così spaventoso, presa alla lettera evidente (Louis Cyphre!) dell’eventualità che l’origine delle immagini sia maligna e che un film sia l’oggetto di una possessione.
C’era inoltre una componente politica sempre esibita, sia nei temi sia, soprattutto, negli umori, nella denuncia di una società coercitiva bisognosa di una svolta, di una scossa. All’epoca, soprattutto per chi aveva l’età giusta per amarlo, The Commitments fu un urlo contro il mondo e per una generazione di europei bianchi la scoperta della carica rivoluzionaria del soul, la celebrazione oggi chissà quanto accettata degli irlandesi in quanto neri d’Europa, dei dublinesi neri d’Irlanda, degli abitanti del nord di Dublino neri di Dublino. Alan Parker lavorava come un direttore d'orchestra, gestiva attori meravigliosi che sapeva controllare, si muoveva dentro (e a volte fuori) il sistema e ne traeva il meglio.
È possibile che le sue riflessioni fossero superficiali (non a caso la critica negli anni '80 non lo amava e nel tempo non ha sentito il bisogno di modificare i giudizi su film considerati fin troppo confezionati); lo erano però alla maniera dei testi di Roger Waters contro la guerra e l’istituzione scolastica in The Wall, con la musica e il cinema chiamati a trasformare l’insoddisfazione della generazione del dopoguerra in una lingua universale da trasmettere ai giovani delle generazioni successive.
Non è un caso che la parabola di Alan Parker si sia sostanzialmente conclusa a metà anni ’90: Evita, Le ceneri di Angela, The Life of David Gale del suo cinema politico, romanzesco e musicale ne mostravano l'involucro, la versione rimasticata. Hollywood era cambiata, i grandi temi non bastavano più, nemmeno quando si parlava di pena di morte, e delle antiche passioni non restava che la foga.
In fondo, filmografie come quelle di Alan Parker raccontano anche la fine di un’epoca e i mutamenti di un sistema, con il progressivo scomparire di un modo di pensare e di girare film che pur coi suoi limiti e le sue illusioni ha saputo insegnare la possibilità che il mondo si possa cambiare.