“Mi piacciono il suo senso dell'umorismo, la sua generosità discreta, il suo granello di follia e il rispetto che non mi dimostra mai”.
Così Luis Buñuel scriveva di Michel Piccoli nelle sue memorie, inanellando alcune delle parole che definiscono il genio di questo attore, scomparso a oltre novantaquattro anni il 12 maggio. Le parole sono “umorismo”, “granello di follia” e “mancanza di rispetto”. L'umorismo è stato declinato da Piccoli in tutte le sue gamme: spesso come ironia e sarcasmo, che l'attore esprimeva nel sorriso a mezze labbra o nelle risate voraci e cattive di tanti suoi personaggi di borghesi. Senza mancare di investire gli stessi di irrisione mentre celavano le proprie perversioni dietro le bandiere delle istituzioni. È appunto nel registro della buffoneria che Piccoli ha liberato una “follia” sovvertitrice di ogni schema sociale. L'irrispettosità, infine, l'ha riservata anzitutto a se stesso e al proprio statuto, non prendendosi mai sul serio ma affrontando con il gusto spericolato della sperimentazione qualsiasi avventura e qualsiasi rischio il personaggio gli offrisse, così come, in oltre 230 film, si è misurato con ogni genere, dalla commedia al dramma, dal noir al cinema politico.
Cresciuto in un ambiente di artisti (il padre violinista e la madre pianista) in numerosi film Michel Piccoli ha quindi impersonato la quintessenza dell'identità borghese che, grazie anche al physique du rôle (la fronte alta, i lineamenti regolari, l'alta statura e un'eleganza innata) ha espresso in tutte le sue forme, dal mellifluo ambiguo Nuttheccio di Lo spione (1962) di Jean-Pierre Melville all'ottuso, brutale monsieur Monteil de Il diario di una cameriera (1964) di Buñuel, al beffardo e voglioso puttaniere Husson di Bella di giorno (1966) dello stesso Buñuel, personaggio ripreso, in una variante significativa, quarant'anni dopo in Bella sempre di de Oliveira, uno dei grandi cineasti con cui ha stretto un lungo e importante sodalizio e che gli assegnò altre fisionomie borghesi in Party (1996) e Specchio magico (2005). Dalla complicità con Marco Ferreri sono nati il designer industriale in fuga dal proprio acquario nel fulminante Dillinger è morto (1969), il dirigente televisivo afflitto dai grevi e maleodoranti umori del proprio corpo in La grande abbuffata (1973) e la spassosa caricatura di Buffalo Bill (due anni prima di quella di Altman) in Non toccare la donna bianca (1974). Dei suoi personaggi borghesi, Piccoli ha espresso anche le derive omicide (L'amico di famiglia, 1973, di Chabrol e Trio infernale, 1974, di Girod, due film dove recita su registri opposti: con stile epurato nel primo e in modo esasperatamente grottesco nel secondo), il feticismo sessuale (Life Size, 1974, di Berlanga), il sinistro machiavellismo (Pericolo nella dimora, 1985, di Deville), l'indole manipolatoria (Uno strano affare, 1981, di Granier-Deferre) mentre più rassicurante appare in I miei vicini sono simpatici... (1977) di Tavernier, in Milou a maggio (1990) di Malle e nei film di Lelouch.
Nel corso del sodalizio con Claude Sautet, l'attore ha invece evocato la crisi del borghese di mezza età (L'amante, 1970 e Tre amici, le mogli e (affettuosamente) le altre, 1974) con una fenomenale incursione nel noir grazie al personaggio dell'ex magistrato poi poliziotto di Il commissario Pelissier (1971), che dietro la fredda razionalità dissimula una natura vulnerabile. Se in Francia Piccoli è stato uno dei pochi a frequentare con disinvoltura gli universi degli autori della vecchia guardia (come il René Clément di Il giorno e l'ora, 1963) e ad attraversare il cinema politico di Costa-Gavras, come i film orgogliosamente indipendenti di Paul Vecchiali e Jean-Claude Brisseau e i kammerspiel di Doillon (La Fille prodigue, 1981 e La Puritaine, 1986), non ha nel frattempo perso quasi nessuna chance di incontro con i cineasti della Nouvelle Vague, da Agnès Varda a Jacques Demy (per il quale fu il laido marito geloso di Una camera in città, 1982) a Resnais (ritrovato in tarda età nel bellissimo Vous n'avez encore rien vu, 2012) fino a Rivette, che in La bella scontrosa (1991) gli ha offerto un complesso ritratto di artista-vampiro al lavoro (speculare, se vogliamo, all'artista depresso del magnifico Ritorno a casa, 2001, di de Oliveira). Dall'incontro con Godard è invece nata la fisionomia dello sceneggiatore moraviano del Disprezzo (1963), sollecito al compromesso, agli antipodi rispetto al ferreo padrone di Passion (1982) e all'autoritratto ironico del televisivo Due volte cinquanta anni di cinema francese (1995).
In Italia, a parte Ferreri, Piccoli è stato diretto anche da Bellocchio, con cui ha creato un'indimenticabile figura di giudice morboso e autodistruttivo in Salto nel vuoto (1980), premio per il miglior attore a Cannes, da Petri, che gli ha offerto la rara possibilità di tratteggiare addirittura un inquietante Andreotti in incognito in Todo modo (1976) e da Moretti, in una maschera di trepida, angosciata senilità, l'uomo che non voleva farsi pontefice di Habemus papam (2011) che ha qualche affinità con l'amnesico professor Giusti di Compagna di viaggio (1996) di Del Monte.
Come tutti i grandi attori, Piccoli ha voluto sperimentare universi filmici remoti e paesaggi lontani, quindi ha lavorato anche con l'egiziano Youssef Chahine (Adieu Bonaparte, 1985; L'emigrante, 1994), con il libanese Maroun Bagdadi (L'Homme voilé, 1987), con i greci Anghelopulos (La polvere del tempo, 2008) e Papatakis (Gli equilibristi, 1992), il cileno Raoul Ruiz (Quel giorno, 2003) e il georgiano Otar Ioseliani (Giardini in autunno, 2006, dove interpreta una vecchia signora), per non parlare dell'incontro con Hitchcock per lo sfortunato Topaz (1969), imprimendo alla sua filmografia una dimensione non soltanto europea ma mondiale. Un'analoga disponibilità l'ha dimostrata nell'accettare le proposte di registi delle generazioni più giovani, come Leos Carax (Rosso sangue, 1986, e Holy Motors, 2012), Claude Mouriéras (Tout va bien, on s'en va, 2000) e Bertrand Bonello (De la guerre, 2008).
Produttore audace e non sempre fortunato di alcun film negli anni '80, Piccoli ha avuto anche una rimarchevole attività teatrale, non solo nella prima fase della sua carriera, ed è stato diretto sulle scene da Jacques Audiberti, Jean Vilar, Jean-Marie Serreau, Peter Brook, Luc Bondy, Patrice Chéreau, fino a André Engel che nel 2009 gli ha affidato la parte del protagonista del Minetti di Thomas Bernhard.
Nell'ultimo decennio di attività, ha voluto cimentarsi con la regia cinematografica e ha svelato un aspetto inedito del suo talento, firmando tre film dalla struttura libera e intrisi di noirceur: Alors voilà (1997), La Plage noire (2001) e C’est pas tout à fait la vie dont j’avais rêvé (2005). Ha anche pubblicato due preziosi e intelligenti libri non solo di memorie: Dialogues égoïstes (Orban, 1976) e J'ai vécu dans mes rêves (con Gilles Jacob, Grasset, 2015). Piccoli, infine, non ha mai nascosto le sue idee politiche progressiste, prendendo posizione contro il Front National di Le Pen padre e figlia, come contro il berlusconismo nostrano.