Regista, produttore e sceneggiatore di origini canadesi poco noto fuori confine, Robert Budreau ha all’attivo una decina di corti per la televisione e il lungometraggio That Beautiful Somewhere (2006). Con l’ultimo Born to Be Blue, Budreau realizza un lavoro che, pur non uscendo dai canoni del biopic musicale, ne reinterpreta gli stilemi con risultati positivi e convincenti.
Lontano dalla toccante sensibilità di Let’s Get Lost (Bruce Weber, 1988), mischiando realtà e finzione, Budreau rilegge il lato umano – più che quello artistico – di Chet Baker dopo l’arresto in Italia per detenzione di droga e il conseguente periodo di disintossicazione. Il regista utilizza il pretesto di una fantasiosa relazione con l’attrice Jaze Azuka conosciuta su un set, al fine di indagare la psicologia del jazzista, cercando di dare forma a quel magma complesso che era il suo legame interiore tra debolezza e creatività. Il personaggio fittizio di Jaze racchiude tratti e aspetti presi dalle numerose donne che furono legate al trombettista, una sorta di ideale femmineo-guida nel quale il protagonista ritrova il temporaneo equilibrio necessario a rimettere a fuoco la sua esistenza e riprendere a suonare dopo il noto pestaggio in cui perse i denti.
Budreau inscena così una sorta di viaggio interiore di un Baker ossessionato dai suoi fantasmi (il rapporto conflittuale con il padre o la mai celata rivalità con Miles Davis), dalla solitudine e da un disperato bisogno di amore. Ne esce una rappresentazione fragile e contraddittoria ma realistica di colui definito “il James Dean del jazz”, un ritratto rispondente alla malinconica dolcezza della sua musica, che diventa qui unico vero veicolo espressivo del trombettista.
Come ben espresso nei numerosi inserti musicali che caratterizzano il film – due dei quali cantati da un Ethan Hawke calatosi tanto nella parte da riprendere oltre alle pose e alle espressioni di Chet, anche l’incertezza del timbro – la voce tremante e il fraseggio appena accennato sono in realtà più di una cifra stilistica, manifestazione viva del tormento dell’autore. Certo, Born to Be Blue non si discosta dall’immagine cupa e distruttrice della musica nera tipica del cinema americano – veritiera per Baker più che per altri jazzmen – pur non dandone però solo una rappresentazione drammaturgica, ma facendone piuttosto una via per indagare l’uomo dietro l’artista.
Born to Be Blue (Usa, 2015, 97’), trasmesso in streaming sulle piattaforme iTunes, Amazon e Vudu