Il proverbio statunitense che invita a guardare con positività alle avversità della vita inserito nell’ultima traccia di Lemonade – l’acclamato e discusso secondo visual album di Beyoncé incentrato sul tradimento del marito Jay-Z – è la chiave per comprendere il disco e l’omonimo mediometraggio a esso associato, inserito come “extra” nel cofanetto.
L’operazione di marketing attuata già per Beyoncé (2013) si distacca dal precedente nel risultato finale, arricchendo le nuove canzoni oltre che di una suggestione visiva, di un significato intrinseco al contesto diegetico generato.
Mischiando il linguaggio del videoclip con l’estetismo malickiano e le atmosfere onirico-surreali di Lynch, Queen Bey (supportata dalla regia di Dikayl Rimmasch e Jonas Åkerlund) costruisce una riflessione in musica, parole e immagini che dal caso personale si apre a una più ampia considerazione sulla condizione attuale delle donne – ancora di più quelle nere – in linea con il pensiero femminista già da tempo abbracciato dall’artista. Un invito a una presa di coscienza di sé e del proprio status in un processo a tappe, come quello compiuto dalla cantante e attrice negli undici segmenti che compongono il video, ognuno dedicato a una fase del suo doloroso percorso sentimentale, da Intuition a Hope and Redemption.
Non è casuale allora l’impiego del noto intervento di Malcolm X sulle donne afroamericane, qui sovrapposto ai ritratti di alcune madri il cui figlio è stato ucciso dalla polizia: «The most neglected person in America is the black woman». Il pensiero del leader nero è dunque il nesso che collega fra loro le immagini di Lemonade. Riprendendo versi di Warsan Shire sull’identità femminile e attingendo alla cultura iconografica africana quanto alla storia del suo popolo, Beyoncé rielabora questi elementi in un gioco di rimandi e citazioni tipico di forme appartenenti alla tradizione afroamericana, quali il signifyin’ e il double talk, facendo del passato uno strumento per comprendere il presente.
La storia si ripete ed è compito dell’essere umano spezzare questa catena. Nel filmato, i ricorrenti riferimenti alla schiavitù e la presenza di sole donne attorno alla protagonista nella sua graduale redenzione, sono allora qualcosa in più di semplici elementi di scena: sono un monito rivolto a una determinata categoria sociale, oggi più che mai bisognosa di un riscatto che sia espressione di una precisa identità singolare quanto collettiva.
Lemonade (USA, 2016, 57’), trasmesso il 23 aprile 2016 su HBO