A due anni dalla scomparsa di Philip Seymour Hoffman, lo scorso 2 febbraio IRIS ha omaggiato l'attore con una selezione dei suoi film migliori, e in particolare con l'inedito God's Pocket.
Atipica star hollywoodiana, priva del carisma standardizzato e del physique du rôle, Hoffman si era imposto poco alla volta, grazia alla capacità di penetrare nei personaggi e di calarsi in ruoli volutamente stereotipati, in film come Scent of a Woman, Il grande Lebowski o Patch Adams, e poi in seguito come raffinato interprete in altri lavori come La 25a ora, Truman Capote o in tutti film realizzati con l'amico Paul Thomas Anderson (Boogie Nights, Magnolia, Ubriaco d'amore, The Master). Una galleria di figure mai del tutto ascrivibili alle dicotomiche categorie di “buono” e “cattivo”, ma piuttosto antieroi fragili e psicologicamente complessi, espressione di una labile personalità che trovava forse nel mezzo cinematografico un'ideale via di espressione.
Così è in God's Pocket, primo lungometraggio dell'attore John Slattery (Mad Man, Il caso Spotlight), tratto dall'omonimo romanzo d'esordio di Pete Dexter, editorialista passato alla narrativa dopo il pestaggio subìto per un articolo dedicato al quartiere Schuylkill di Philadelphia e considerato lesivo dai suoi abitanti (esperienza poi romanzata proprio nel suo esordio letterario). Slattery costruisce un film tutto giocato sugli interpreti, rintracciando nel cast i volti ideali per dare corpo ai personaggi del libro: outsiders balordi, cialtroni e trafficoni, grottesca rappresentazione di una working class abbandonata a se stessa e capace di sopravvivere solamente tra un furtarello e una sbronza.
Ne è l'emblema Mickey Scarpato (Hoffman, appunto), un fallito schiacciato da un passato che ha lasciato i suoi segni, come si evince dalla postura spesso ingobbita e schiacciata dal peso dei propri errori. Come tutti nel quartiere, Mickey vive di espedienti: scommette sui cavalli e ruba un carico di carne per rientrare delle spese sostenute per il funerale del figlioccio, morto sul lavoro in circostanze poco chiare. Attorno a lui, un verminaio di derelitti sociali collocati da chissà quale sorte nel quartiere che dà il titolo al film, God's Pocket, “il taschino di Dio”, nel quale sono ammassate, come spiccioli, le esistenze prive di valore lì arenate.
L'unico conforto resta il pub, luogo di ritrovo per le svariate generazioni che lo affollano alla ricerca di un sollievo effimero, una consolazione a base di alcol e frasi di rito che riempi un vuoto esistenziale comune. Ma Mickey viene da un indeterminato altrove, e pur non comprendendo fino in fondo la mentalità della gente che lo circonda si è adattato al loro mondo, ben accetto e al tempo stesso escluso. È infatti l'aggressione al giornalista Richard Shellburn, dopo la pubbicazione di un articolo sul quartiere, a rimarcare i limiti tra la collettività e chi ne è estraneo. Intervenuto per sedare la rissa, Mickey si trova solo, costretto ad abbandonare un ambiente che non gli appartiene, non come un eroe ma come una sorta di latitante, insieme con l'amico Arthur Capezio, coinvolto in un omicidio.
Una sconfitta nella sconfitta, un'uscita di scena che sa non di riscatto, quanto di resa definitiva al destino.