All’interno di una famiglia coreana trapiantata in America, il giovane David (Joe Seo) inizia a lavorare per una Spa con l’intento di mettere da parte un po’ di soldi per aiutare l’economia di casa. Ci vorrà poco però per comprendere quanto ogni sua certezza sarà messa a dura prova. Il ragazzo non solo dovrà fare i conti con una città, Los Angeles, decisamente diversa da come è descritta, ma in prima istanza dovrà riconsiderare sé stesso.
Lungo la prima parte del film, Andrew Ahn decide di riprendere in diversi momenti David intento a scattarsi delle foto allo specchio per poi esaminarle attentamente sullo schermo del suo telefono. Per (ri)conoscersi non gli è sufficiente il suo riflesso, necessita di un’altra fonte. Il giovane non crede a propri occhi e poco alla volta la ferita diventerà sempre più grande coinvolgendo certezze ben più spinose e scottanti come la sfera sessuale.
È proprio grazie a questi elementi sottaciuti e delicati che Spa Night si dimostra interessante (soprattutto considerando che si tratta di un esordio). Sarebbe sbagliato e decisamente riduttivo analizzare il film esclusivamente in merito all’omosessualità. Quello di Ahn è infatti un lavoro che vuole provare a fare luce sull’America contemporanea, una nazione sempre più eterogenea e disunita nella quale sembra impossibile orientarsi. David deve prima di tutto fare i conti con una ricerca d’identità che però non viene minimamente supportata dal mondo esterno. Come lui, infatti, anche l’ambiente circostante deve (ri)definire le proprie certezze e rimuovere la nebbia che lo caratterizza (in questo senso il vapore acqueo della Spa assume un grande valore simbolico).
Spa Night non sembra ambientato negli Stati Uniti, eppure è un film molto americano: si respira la voglia di ambire al tanto desiderato “sogno”, si intuisce lo scontro (più che l’incontro) tra culture differenti, e si evidenzia la solitudine disarmante nella quale tergiversano molti individui costretti a fare i conti sia con la famiglia che con l’integrazione.