Una coppia sposata, che pare non abbia più nulla da dirsi se non urlare e questionare, formata da due coniugi frustrati e senza più desiderio sessuale l'uno verso l'altra; due trentenni (o poco più) in crisi, che vivono a Los Angeles, unici rimasti senza figli tra le coppie amiche, immersi in un universo giovane, indie, creativo, con aspirazioni artistiche mancate e che svolgono lavori inappaganti e precari (il marito dice alla moglie: «è questo l'essere adulti, fare lavori di merda per potersi pagare l'affitto»). C'è forse qualcosa di più attuale?
Lei, Anna, accusa il marito, Ben, di essere pigro, di non lavare mai i piatti, di vegetare sul divano giocando con la play-station, di non provare alcun sentimento o almeno di non darne alcun segno. Lui la rimprovera di essere troppo giudicante, ossessiva, iper critica, concentrata sui propri sentimenti, esplicitandoli troppo spesso.
Cosa succede a due individui del genere, abbandonati anche dalla terapista? Succede che decidono di esorcizzare il proprio malessere, mettendo in versi, o meglio in musica, le loro liti. Creano una band, lei al basso, lui alla chitarra e il vicino di casa alla batteria. Dirty dishes (piatti sporchi per l'appunto) è il nome del gruppo.
Band Aid, presentato lo scorso anno al Sundance e opera prima di Zoe Lister-Jones (che è anche sceneggiatrice, produttrice e attrice protagonista), funziona a tratti, quando dimentica la lezione sulla crisi identitaria dei moderni adulti e si abbandona a una comicità inattesa (ad esempio, Anna ubriaca sul palco e il personaggio del vicino di casa) o al puro e semplice ascolto. L’invito al riconoscimento con i due protagonisti, persone che non hanno raggiunto nulla di concreto e sono spaventati da quello che non sono riusciti ad avere (una carriera) o a essere (dei genitori), è talmente evidente da risultare forzato, e a funzionare sono soprattutto le canzoni come Mood, usata come contrappunto alle relazioni fra i personaggi.
Il film è un’analisi della vita di coppia, con l’accento posto sulla condizione della figura femminile: al centro c’è l'insoddisfazione di Anna, la sua idea di creare una band, suoi pianti, il suo dolore vissuto come particolare, unico, differente. Salire su un palcoscenico, più che mettere in musica il proprio dolore, è ciò di cui Anna ha realmente bisogno, salvo sublimarlo nel desiderio di avere un figlio e così entrare nell'età adulta. E Ben, che la ammonisce di esplicitare troppo i suoi sentimenti, sembra fare il controcanto al film stesso: troppo didascalico, autoreferenziale, forzatamente metaforiche…