Per apprezzare England Is Mine, lungometraggio d’esordio di Mike Gill, bisogna partire dal presupposto che, pur essendo un biopic, non bisogna guardarlo con gli occhi dell’appassionato di musica e nello specifico del fan di Steven Morrissey, leader degli Smiths. Così facendo, si rischierebbe di rimanere delusi. England Is mine, piuttosto, è un racconto di formazione pudico e sussurrato che, attraverso la vocazione per la musica del protagonista, si confronta con il difficile passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Che novità, potrebbe dire qualcuno. Ed è qui, e solo qui che la presenza di una celebrità, nella fase della sua vita precedente al raggiungimento del successo, offre al film la sua particolarità.
Steven, infatti, è un ragazzo come tanti altri, introverso, poco propenso a trovarsi un lavoro stabile, come vorrebbe il padre, ma completamente assorto nel suo mondo intellettuale fatto di lettere e di letture, articoli, spunti di riflessioni e versi poetici, tenuti insieme da unico grande punto in comune: la musica. Siamo nella Manchester del 1976. New York Dolls, Patty Smith e Lou Reed calcano le scene, e Steven sogna di diventare come loro, un giorno. Nel frattempo, gruppi come i Sex Pistols muovono i primi passi. La musica c’è, nel film di Gill, ma la si vede a stento (attraverso il riflesso della bottigliera di un bancone del bar di una sala concerti underground o affissa sui poster all’uscita di un teatro), e quando la si sente ha la funzione aggiunta di contribuire a definire un’epoca. Che
Gill sia estremamente rispettoso nei riguardi del personaggio Morrissey lo dimostra anche il modo in cui si confronta con la sessualità del suo protagonista. L’omosessualità è solo suggerita, in brevi, quasi impercettibili momenti di tensione emotiva che determinano la difficoltà da parte di Steven di relazionarsi con le persone, presupposto di un’identità sfumata e sfuggente, che si tratti delle ragazze che frequenta (l’amica Anji, la collega Christine, l’amante platonica Linder Sterling, artista e musicista anche lei) che dei ragazzi che incontra. C’è una sottile carica erotica, per esempio, nel primo appuntamento tra Steven e Johnny Marr, una sequenza peraltro molto intensa con cui England Is Mine volge al termine. Un erotismo appena accennato, che potrebbe passare inosservato senza nulla togliere, visto che si confonde con la curiosità reciproca che i due aspiranti musicisti, che si stanno conoscendo per la prima volta, provano l’uno per l’altro, scrutandosi, mentre Johnny passa in rassegna la collezione di dischi di Steven. Si tratta di un momento seminale, questo, immaginato dal regista, ma del tutto credibile, che, in un fuori campo ideale, anticipa la nascita di una delle band più importanti della new wave degli anni ’80. Accontentiamoci, allora, di vedere Steven esibirsi con il gruppo fondato insieme a Billy Duffy (futuro chitarrista dei Cult) dalle cui ceneri gli Smiths sarebbero sorti: i Nosebleeds, viatico per una momentanea crisi esistenziale all’insegna della delusione e della depressione, durante la quale Steven sembra rinunciare alla musica in cambio della plumbea routine di un posto di lavoro come infermiere in un ospedale.