Un universo alieno, quasi un pianeta sconosciuto composto di elementi organici irriconoscibili e delle loro imprevedibili connessioni. È quello che sperimentiamo sdraiandoci su un pouf vibrante e indossando un casco VR, mentre vento e profumi di sottobosco ci avvolgono e rapiscono.
Il coinvolgimento di tutto il corpo, anche se nella posizione supina del dormiente, non rende l’esperienza meno straniante. Questa dimensione così astratta è paradossalmente l’effetto del più lucido realismo, reso possibile dal contatto sensoriale con l’elemento più concreto che il nostro stesso mondo può offrirci, l’humus, il suolo naturale divenuto per noi estraneo e invisibile. Forager lo fa immergendoci nella vita (e nel punto di vista) dei funghi, la cui evoluzione, dalla nascita alla decadenza, scandisce in capitoli un percorso verso l’ignoto. Sdraiati e inermi rispetto a ogni impulso sensoriale, ci identifichiamo con nuove forme di percezione del mondo e del corpo; quest’ultimo rimane in parte statico, eppure attivo nella sua capacità di ricevere affetti e sviluppare connessioni, come quando siamo invitati a tracciare le radici dei miceli con i controller. In quella che appare come una riproposizione allucinata del sensorama (così si chiamava infatti la prima tecnologia VR della storia, che agli effetti visivi aggiungeva movimento, vento e profumo) sperimentiamo così l’identità tra l’esperienza delle nuove tecnologie e quella organica e naturale dei funghi: la formazione di un’intelligenza collettiva, che si ramifica e diffonde.
L’idea al cuore di Forager sta tutta, infatti, nella naturalezza e verità di questo spazio alieno: Porter e Zananiri lo hanno infatti creato attraverso la fotogrammetria a passo uno, ovvero riproducendo fotograficamente, ma in 3D, le fasi reali dello sviluppo dei funghi e rimontandole in un time lapse immersivo. La vocazione fotografica della VR si riscontra così nella riproposizione di un inconscio ottico (concetto coniato da Walter Benjamin per definire una specifica capacità del cinema e della fotografia) che cattura nella percezione della macchina ciò che, nello spazio e nel tempo, sfugge ai sensi naturali.
Questo impossibile punto di vista micologico si sviluppa soprattutto grazie alla sincronia che i movimenti di macchina instaurano con il nostro corpo steso: carrellate all’indietro che ci trascinano fisicamente verso profondità abissali o innalzano verso il cielo, giocando tra lo straniamento iniziale e le primordiali forme di riconoscimento finale (quando ci appaiono, ai margini del micromondo, le sagome artificiali dei grattacieli). Così, immergendoci in una soggettività non umana, Forager capovolge la funzione mimetica tradizionalmente attribuita alla VR: non quella di riprodurre un mondo realistico attraverso l’illusione, quanto quella di scaraventarci nella veggenza più allucinata in virtù di una paradossale adesione al reale. Pur nella sua breve durata, rappresenta una delle esperienze più innovative e spiazzanti di Venice Immersive. Una macchina dell’empatia estrema che ci conduce, oltre ogni esperienza di genere e specie, ad un’inedita comunione con la natura.
Forager di Winslow Porter, Elie Zananiri (8’, USA)