Molto è stato scritto e detto sulla Realtà Virtuale come medium dell’escapismo, in grado di trasportarci in scenari esotici o fantastici. Poco, invece, sulla sua capacità di far riflettere sul senso di appartenenza, e sul significato – anche geografico – del concetto di casa. Il documentario di Patricia Echeverria Liras si propone proprio questo, e ci riesce in maniera delicata, sfruttando con consapevolezza tanto le potenzialità linguistiche dello storytelling immersivo quanto i suoi aspetti più emozionali.
Remember This Place è il racconto di un viaggio nelle comunità beduine che, ancora oggi, vivono la realtà di un conflitto militare. È la testimonianza, polifonica e stratificata, delle attiviste, artiste, architette e poetesse che lottano quotidianamente per far valere il loro diritto sul territorio. Il racconto virtuale punta a ricostruire, assemblando i frammenti delle storie dei singoli, una pagina drammatica dell’attualità contemporanea. Ma, invece di ambientare la narrazione direttamente sulla trincea di guerra, Liras si colloca “nelle retrovie” rispetto al clamore della Storia (tanto reale quanto mediatica), per raccontare gli eventi dall’intimità delle case femminili.
Sono proprio gli interni degli ambienti domestici a scandire la narrazione. Sullo sfondo di una ripresa a 360° del deserto, le case, modellate in 3D a partire da dati reali tramite il procedimento della fotogrammetria, ambientano la narrazione nel deserto assolato, salvo poi sgretolarsi rapidamente come granelli in una tempesta di sabbia. Il disgregarsi delle abitazioni richiama la tragicità degli episodi di demolizione che sono ormai la realtà di molte comunità della Palestina, e costituisce una poetica chiave visiva in grado di rendere il senso di appartenenza tramite la sua, drammatica, negazione.
In perfetta corrispondenza tra tematiche e scelte di forma, l’affermare per nascondimento è una delle cifre autoriali maggiori anche della colonna sonora. A costellare la scomparsa delle case e dei territori è infatti un tappeto di interviste in arabo palestinese di cui non viene fornita nessuna traduzione. E questo avviene non tanto per ingenuità, ma, come viene rivelato nel taccuino che il nostro avatar tiene sempre in mano, per una precisa scelta etica documentaria, mirante a mantenere sempre al massimo il senso di autenticità dei racconti.
Nella scena finale, che restituisce la bellezza struggente del tramonto sulle colline del deserto, realizziamo appieno il senso di molte di quelle parole che, da quello stesso taccuino, ci hanno guidato alla comprensione del racconto. Arriviamo a capire, cioè, che Remember This Place è anche il viaggio personale dell’autrice e del suo approcciarsi a case e territori che non sono i suoi.
Per questo, il documentario si colloca rispettosamente “alla giusta distanza” rispetto al suo oggetto, restituendo la voce a una realtà complessa e stratificata ma senza obliterarne i vuoti, quei punti ciechi che, quando vi entriamo in contatto, rimangono (anche letteralmente) “lost in translation”. Da vedere.
Remember this Place: 31°20’46’’N 34°46’46’’E di Patricia Echeverria Liras (25’, Palestina-Qatar-Spagna)