“E quello chi è?”, “E quella, secondo te?”, “Ah, sì, sarà coso… come si chiama”, “No, non è lui”… e via di seguito: in sala il brusio è continuo, e generale, e anche chi non affida la speculazione all’orecchio del vicino, sta chiaramente giocando allo stesso gioco. Gioco enigmistico, che di fronte a Loro, 1 e 2, è costante, e costantemente rilanciato. Perché c’è Silvio, Silvio Berlusconi – proprio lui – e va bene; poi c’è Veronica, e anche quello ok (quanto sarebbe stato meglio un Lei, 1, 2 e anche 3, non da ultimo perché Elena Sofia Ricci è la migliore del cast). Fedele sarà Confalonieri, ma Cupa? I giornalisti pensano che si tratti della Santanchè, ma forse è la Brambilla. Ah, e poi c’è Dio, ma perfino Silvio non è sicuro della sua identità. E l’uomo in bianco? Per non parlare di tutte quelle ragazze: la caccia è aperta e la speculazione continua, finita la proiezione, a luci accese, prova su Google.
Che qualcosa non funzioni, nell’operazione sorrentiniana, lo dice prima di tutto proprio questa specie di caccia al ladro, tra intercettazione visiva e pettegolezzo, che scatta come un rictus durante la visione, e un po’ se la mangia (e fa un favore ai giornalisti, contro i critici). Dice, molto bene, che il primo problema di Loro – il più grande – è una questione di distanza, che i troppo lunghi e impacciati cartelli iniziali (altra spia) provano a elaborare e a risolvere in un linguaggio per metà avvocatesco, per metà critico: «Il riferimento a persone effettivamente esistenti e a fatti realmente accaduti è finalizzato a una loro rielaborazione e reinterpretazione in chiave artistica [e] in quanto tale del tutto priva di intenti cronachistici». E ancora: «Gli autori hanno liberamente tratto spunto da alcune vicende di cronaca per dar vita a una creazione narrativa che fa interagire personaggi immaginari e persone reali in contesti di pura fantasia, così generando un’opera artistica originale». In sintesi: noi siamo l’Arte (“creazione”, “chiave artistica”, “opera artistica originale”), rifacciamo la Realtà (la “cronaca”, i personaggi e i fatti “realmente esistenti e accaduti”), e insomma nessun adattamento docufiction ma sacra parola d’Autore. Che è un’idea buona e giusta e antica quanto l’uomo e l’arte (e il suo desiderio di raccontare e dare senso al mondo al di là dell’esperienza) ma, almeno in questo caso, antica nel senso di vecchia, e cioè superata, legata a una cultura della “creazione artistica”, del cinema e del cinema d’Autore e Impegnato fuori tempo massimo.
Perché pensare di poter raccontare Berlusconi – rielaborare e reinterpretare, nel mo(n)do nuovo della fantasia – partendo dalla realtà significa illudersi malamente proprio sullo statuto di realtà del soggetto: Berlusconi, infatti – per parafrasare Baudrillard, era il 1991… – non ha mai avuto luogo. Moretti lo ha capito benissimo, e Il caimano è (anche) un film sul problema di (voler) fare un film su Berlusconi, di lavorare con quelle immagini (che sono la realtà, l’unica realtà possibile). Così, per esempio, dare un volto al “personaggio” – perché il cinema, salvo eccezioni, non può esimersi dall’identificazione (ma può scegliere naturalmente di non farla diventare un giochino a mosca cieca con la Storia e la Cronaca) – diventa una questione pirandelliana, la cui soluzione traumatica (il celebre discorso in macchina, con l’incendio della giustizia in lontananza) non può che coincidere con un’immedesimazione radicale tra Moretti e Berlusconi – il “Berlusconi dentro di noi” (altro che distanza, o possibilità della distanza).
Vale a dire: di fronte a Berlusconi, nel ping-pong simbolico tra Arte e Realtà – intendendo la prima, come da “cartelli”, la rielaborazione originale e autoriale della seconda – la questione si rovescia, e restano solo due strade possibili: smontare l’immagine o inventarne un’altra – una radicalmente altra – per fare la realtà (e pensare che Sorrentino queste due strade le ha percorse in modo esemplare, rispettivamente con Il Divo e The Young Pope).
E cioè: non mercanteggiare tra i due poli, ma schierarsi fino in fondo dalla parte dell’uno o dell’altro, che è poi quella cosa che il cinema, oggi, ha scoperto di poter e anzi dover fare – e lo può fare meglio di tutti – se vuole continuare a essere vivo proprio quando si tratta di spigolare la (presunta esistenza) di quelle cose che chiamiamo cronaca, fatti, eventi realmente accaduti. Ma Loro non fa nessuna di queste due cose, collocandosi in uno spazio ambiguo tra la Lip Sync Battle e il Bagaglino (non a caso, due formati televisivi, un’altra versione del Berlusconi che è in noi), tra la copia carbone, piatta e sterile, e la parodia involontaria o, ancora, tra l’audiolibro (scritto da sinistra) e il reenactment da festa di Paese (costumi e trucco pesante, stereotipi e memorie da bigino).
Il cinema, così, perde, e da tutti i punti di vista, confermando, neppure troppo paradossalmente, la forza e l’invadenza dell’“archivio Berlusconi” – uno straordinario, per estensione quantitativa e ricchezza, archivio visuale, verbale, sonoro; e la scelta di dedicare tanto spazio al “caso Ruby e Olgettine”, la costola visivamente più potente, presente, icastica di questo archivio, è un’altra spia del fraintendimento culturale alla base di Loro. Anzi, di questo archivio il doppio film di Sorrentino finisce per diventare un elemento del tutto organico, un punto di forza anziché un anticorpo, una specie di nobile paratesto d’autore; anche: la dimostrazione plastica – e scintillante – che quell’archivio pubblico si è già mangiato, da tempo, qualsiasi realtà, compresa quella di un cinema che pensa di poter partire da lì per partorire nuove immagini. Loro, al contrario, è un lungo film senza immagini – immagini “originali” e “artistiche”, immagini libere, che abbiano davvero qualcosa da dire e mostrare. Di qui, appunto, l’enigmistica: «giochi di prontezza mentale, proposti e risolti per svago e passatempo, in cui si deve indovinare una parola, una frase o un concetto, basandosi sulle indicazioni e allusioni contenute in un testo in prosa o in versi o in figure e disegni geometrici».
Pura ricerca d’archivio, e di conformità. Tra Indovina chi? e test di Rorschach.