Cannes première

La Ola di Sebastián Lelio

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Nella primavera del 2018, in Cile, un imponente movimento femminista ha dato vita a numerose manifestazioni contro la violenza maschile sulle donne. Le attiviste hanno invaso le strade, occupato le scuole e le università e animato una serie di proteste vivaci e multiformi, portando alla luce le problematiche di genere e dimostrando quanto questo tema sia sentito e attuale nel paese sudamericano. Nato alla stregua di alcuni casi di femminicidio che hanno scioccato la società cilena, il movimento si è allargato inglobando altre istanze fondamentali come il diritto all’aborto (minacciato dal protocollo sull’obiezione di coscienza e dalla propaganda pro-life) e configurandosi come una vera e propria onda di cambiamento (uno degli slogan contro l’allora presidente Piñera, ex ministro di Pinochet, era “Piñera machista un’ondata femminista ti sconfiggerà!” che ha reso popolare la metafora dell’onda).

La Ola (“L’Onda” appunto), l’ultimo film di Sebastián Lelio co-prodotto – da Pablo Larraín, si ispira alla storia di questo movimento e racconta di Julia – studentessa di musica di un campus della capitale cilena, attiva nelle proteste contro gli abusi e le molestie che da anni colpiscono le studentesse senza trovare giustizia – la quale decide a sua volta di denunciare l’abuso che ritiene di aver subito da Max, assistente del corso di canto. Sospinta dall’energia collettiva della mobilitazione e dal ritmo della musica, Julia diventa il volto della lotta e la sua testimonianza si diffonde con un impatto travolgente, come un’eco che si propaga.

Lelio sceglie di trattare uno dei nodi culturali e sociali più delicato e polarizzante della nostra contemporaneità con un registro sorprendente. Costruisce infatti un film musicale colorato, sgargiante e dal ritmo impetuoso, affidando alla musica, alle coreografie e alle canzoni il compito di raccontare la complessità e le molteplici sfaccettature che gravitano intorno al tema. Ne risulta qualcosa che somiglia più a un’opera lirica o a un melodramma che a un musical tradizionalmente inteso. Soprattutto nella seconda parte, quando il film abbandona quasi del tutto la dimensione recitativa, trasformandosi in un flusso musicale ininterrotto.

Non è solo la bravura degli interpreti – Daniela López nel ruolo di Julia è straordinaria – né la forza espressiva delle canzoni, della musica e soprattutto delle coreografie a rendere efficace la scelta di Lelio di usare il linguaggio del musical per affrontare un argomento tanto complesso. È anche la capacità del regista di costruire un racconto articolato, che evita l’adesione più semplice e scontata alle istanze messe in campo. Pur prendendo chiaramente posizione a favore del movimento, l’autore riesce infatti a delineare un universo ricco di sfumature e contraddizioni, di cui l’università diventa una sorta di microcosmo simbolico. In questo spazio frammentato e complesso, emergono le tensioni, le ambiguità e la dispersione del pensiero politico che caratterizzano il nostro tempo.

E soprattutto viene reso complesso e autentico il fatto che non ci sia una verità univoca. Non viene mai svelato se l’abuso denunciato da Julia sia effettivamente avvenuto; addirittura in un momento in cui viene infranta la quarta parete Lelio, nei panni di se stesso, entra in scena rivelando che manca la pagina del copione che sveli la verità. Ma è proprio questa sospensione, questa ambiguità irrisolta, a diventare il fulcro del racconto: il senso del film non sta nella conferma dei fatti, ma nel confronto, nel dubbio, nel dibattito che ne scaturisce. Ed è in questo spazio aperto, in questa zona grigia in cui la verità si fa sfuggente, che Lelio colloca la sua opera: è lì che La Ola trova una profondità inaspettata, restituendo tutta la complessità dell’esperienza contemporanea e del discorso politico che la attraversa – senza mai rinunciare, a uno sguardo militante, lucido e inesauribile, che interroga il presente e a rivendica la possibilità del cambiamento.