C’è qualcosa di straordinario, oltre che di rassicurante, nel fatto che Robert Guédiguian, il suo cinema, la sua Marsiglia, i suoi attori – Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, sempre loro – siano ancora lì. E non per questioni di affetto o – peggio – di nostalgia, ma perché sono testimoni di uno sguardo sul contemporaneo e sul mondo di oggi estremamente lucido oltre che, come è sempre stato, ostinato e tenace. Se Guédiguian resta infatti uno dei pochissimi autori europei capace di fare un cinema dai forti tratti personali – che potremmo perfino definire privato se non fosse che quello di “privato” è un concetto lontanissimo dalla sua poetica e mentalità – ma allo stesso tempo dal respiro universale, è perché ha saputo costruire una modalità di racconto che trova proprio nella ripetizione, intesa come variazione sul tema, il proprio senso.
E allora guardare Marsiglia, le sue contraddizioni, le sue ferite, i suoi colori e la sua luce attraverso gli anni, significa per il regista guardare qualcosa che contiene una storia più grande – quella della Francia, dell’Europa, del mondo – attraverso una prospettiva vicina a sé e alla propria di storia, che è quella di un uomo, un regista, un intellettuale comunista che come pochi altri riesce a catturare in immagini il presente che lo circonda.
Et la fête continue! arriva dopo una delle pochissime escursioni fuori dalla topografia marsigliese che il cinema di Guédiguian si sia mai concessa: quella di Twist à Bamako (2021), ambientato e girato in Mali e incentrato sul duro e complesso percorso di indipendenza del paese africano dagli anni Sessanta a oggi. Era quindi scontato che il film successivo tornasse a casa (dei 23 film di Guédiguian solo 4 non sono ambientati nella “città focese”). E riprendesse da dove aveva lasciato con Gloria Mundi (2019), laddove lo sguardo sulla gente e la società marsigliesi si era tinto di un nero profondissimo e carico di una disillusione (e un disprezzo) visti pochissime altre volte.
Con Et la fête continue! Guédiguian non indugia in quello stesso pessimismo, ma muove comunque da un episodio estremamente tragico. Un fatto reale, accaduto a Marsiglia alcuni anni fa, che ha suscitato parecchio clamore in Francia: il crollo degli edifici di rue d’Aubagne. Il 5 novembre 2018 alle 9 del mattino, due condomìni attigui del quartiere di Noailles, nel centro della città, sono improvvisamente crollati su se stessi causando la morte di otto persone fra cui due cittadini italiani. Il film si apre proprio con le immagini – prima ricostruite e poi di repertorio tratte dai media di informazione – del crollo, seguite poi da quelle delle manifestazioni degli abitanti del quartiere che protestano contro il degrado, la mancanza di manutenzione e la fallimentare politica urbanistica dell’amministrazione comunale.
Dalla realtà il film passa quindi alla fiction e così scopriamo che fra i residenti del quartiere sconvolti per l’accaduto c’è anche Alice, che insegna musica al centro civico di Noailles ed è fidanzata con Sarkis, di origine armena e proprietario di un bar poco distante. Anche la madre di Sarkis, Rosa (Ariane Ascaride), vedova dall’età di 26 anni che fa l’infermiera e suo fratello Tonio (Gérard Meylan) che porta orgogliosamente il nome di Gramsci e ha ancora un’incrollabile fede nella dottrina comunista, abitano a Noailles. Henri invece (Jean-Pierre Darroussin), il padre di Alice, non è di Marsiglia e, arrivato da poco in città nel tentativo di recuperare il difficile rapporto con la figlia, resta stregato dal clima accogliente e famigliare che trova, tanto da decidere di restare. Ma rimane soprattutto perché inizia una travolgente storia d’amore con Rosa, la quale nel frattempo è impegnata in un’incessante attività politica per cercare di unire i partiti della sinistra cittadina, frastagliata e divisa, con l’obiettivo di prendere le redini del governo della città. Dando appoggio anche all’iniziativa di Alice, Sarkis e altri residenti di Noialles che vogliono intitolare la piazzetta centrale del quartiere alle vittime del crollo del 5 novembre 2018.
Nel solito fitto intrigo di storie, volti, situazioni e personaggi – che rendono, come in ogni suo film, l’ecletticità e la straordinaria vitalità di Marsiglia e della sua gente – Guédiguian sceglie soprattutto un personaggio per racchiudere il senso di tutto: Rosa. Probabilmente uno dei personaggi più autobiografici di tutto il suo cinema, che sembra quasi parlare con la voce del regista e a cui quest’ultimo consegna apertamente tutte le proprie incertezze e le proprie domande. Guédiguian, che sta per compiere settant’anni e sembra più incline del solito a tracciare bilanci esistenziali, attraverso Rosa si lascia andare ai ricordi. Nel passato della donna, che riaffiora attraverso i sogni, c’è un marito armeno scomparso da troppi anni e appartenente a una vita passata, un padre militante comunista che ha trasmesso a lei e al fratello la forza dell’impegno politico e c’è la fascinazione per l’arte e l’antica fiamma della recitazione. Ma allo stesso tempo c’è una riflessione profonda sul proprio ruolo nel mondo e nella società: Rosa che trova l’amore a sessant’anni prova una sorta di inadeguatezza verso i sentimenti e per la prima volta mette in dubbio la propria militanza politica. Non perché vacilli la fede nei vecchi ideali o la passione per Henri non sia sincera, ma perché ella inizia a comprendere e percepire l’esistenza di un piano di negoziazione fra sé e gli altri, fra cuore e mente e fra pubblico e privato, con il quale deve iniziare a fare i conti.
E allora riportando tutto all’esperienza autoriale di Guédiguian sembra quasi che il regista – il cui sodalizio artistico e professionale ma anche intimo e spirituale con la moglie Ariane Ascaride è ormai indissolubile – voglia con grande lucidità marcare una distanza. Non con il presente e nemmeno con la necessità dell’impegno e della militanza, ma piuttosto con una realtà che per certi versi non gli appartiene più e che, senza smettere di volerla comprendere e interpretare, preferisce consegnare alle generazioni future. Perché, come evoca il titolo, la festa continua sempre e comunque, a prescindere che noi vi si prenda parte o meno. E allora la Marsiglia umanista e inclusiva che il regista racconta non somiglia più a quella disperata e allo sbando mostrata in Gloria Mundi. Perché Guédiguian preferisce guardare il mondo non per come esso sia, ma per come vorrebbe che fosse, magari ricordando quello che era una volta o come si augura possa diventare. E pur non scordando le grandi e piccole tragedie che succedono ogni giorno – come il crollo dei palazzi di rue d’Aubagne è lì a rammentare – la sua fede in un certo modo di pensare e guardare il mondo e le persone che lo abitano resta incrollabile. Del resto lui la pensa esattamente come Tonio quando parlando con Henri in uno dei loro primi incontri e descrivendo la propria città come una specie di luogo fantastico e idilliaco esclama: «Allora le piace Marsiglia? Non piove mai. Qui sono tutti di sinistra. Niente borghesi, fascisti o razzisti... Solo gente perbene!».