Da oggi fino al 2 marzo, giorno della consegna dei premi Oscar, celebriamo l’evento con una serie di ritratti provenienti dalle passate edizioni, scelti e commentati da Alberto Spadafora. Una galleria di volti, sorrisi, discorsi, pose, acconciature, abiti, ricordi, amnesie, folgorazioni, fantasmi della storia del cinema e del costume, rigorosamente presi (e debitamente linkati) dal sito ufficiale e dal canale YouTube dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences.
Si comincia con Sally Field, Premio Oscar come miglior attrice protagonista nel 1985 con Le stagioni del cuore di Robert Benton.
Nel marzo del 1985 Sally Field (ri)vince l’Oscar come miglior attrice protagonista. Poco importa che sia sconfitta l’australiana Judi Davis di Passaggio in India, siccome in quegli anni si protesta contro le politiche agricole reaganiane e al cinema è d’obbligo coltivare la terra (già solo nella cinquina del 1985 ci sono infatti ben tre donne con la zappa: Sissy Spacek ne Il fiume dell’ira, Jessica Lange in Country e la Field in Le stagioni del cuore).
Salita sul palco del Dorothy Chandler Pavillon senza abbracciare né baciare Robert Duvall, Sally Field liquida velocemente il ringraziamento al regista Robert Benton dopodiché confessa che ciò che più le premeva fosse avere il rispetto della comunità di Hollywood, che il primo Oscar (maestoso, nel 1980, per Norma Rae) non era stato sufficientemente risolutivo e che solo ora, di fronte a questo secondo Oscar, può ammettere che – a quanto pare – lei ci piace, ci piace davvero: «This means so much more this time. I wanted more than anything to have your respect. The first time I didn’t feel it, but this time I feel it! And I can’t deny the fact that you like me! Right now, you like me!».
Che esagerata. Eppure le gote e i boccoli e le ciglia (fuori controllo) lasciano tramortiti e impediscono di reagire. Ritirando l’Oscar, Sally Field inchioda alla poltrona, disarma e allarma allo stesso tempo proclamando una dubbia evidenza. Non è l’Academy, premiandola, a farle un favore di sopravvalutata riconoscenza. È Sally Field a dichiarare quanto sia evidente, a questo punto, che lei ci piace davvero. La platea ride e applaude, tra le lacrime di Linsday Crouse e John Malkovich (suoi giovani comprimari nel film) e il perplesso disgusto di Sissy Spacek. Ego spropositato, premio immeritato, discorso indimenticabile che stravolge le regole dell’acceptance speech: non sono io a ringraziare voi per questo premio, siete voi a dovermi ringraziare e ad ammettere una volta per tutte che io vi piaccio davvero. Cosa dovrebbe dire allora Sandra Bullock, nel caso vincesse quest’anno il suo secondo Oscar per Gravity?
You like me! diviene motto, slogan, repertorio immediato di vanagloriosa autocelebrazione nel mondo dello spettacolo: a cominciare dall’anno successivo, quando Sally Field consegna l’Oscar al miglior attore protagonista (William Hurt ne Il bacio della donna ragno) e prima di annunciare i candidati si lancia autoironica e autocitazionista in: «So, let’s see which one you like, you really really like…». Per proseguire tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta quando il perfido Billy Crystal lo rimbalza in apertura di cerimonia alla platea degli Academy Awards. Insomma, io vi piaccio e non posso più negarlo.
Le cerimonia dei 57° premi Oscar dal sito ufficiale dell'Academy
Il video della vittoria di Sally Field, dal canale ufficiale dell'Academy