Non è il cerimoniere Chevy Chase a introdurli, ma la canzone con cui hanno sdoganato i balli proibiti: Patrick Swayze e Jennifer Grey appaiono sul palco dello Shrine Auditorium accolti dalle note di (I’ve Had) The Time of My Life che da pochi minuti ha vinto l’Oscar per la miglior canzone dell’anno. Lui bello come il sole che splende sui jeans e le musicassette di quella seconda metà degli anni Ottanta. Lei, figlia del commediante Joel Grey e ancora col naso da rifare, anatroccolo che dà speranza e riscatto sessuale a tutte le Baby messe negli angoli del mondo.
Si festeggia la 60ª edizione degli Oscar. Il compleanno del premio cinematografico più ambito si autocelebra l’11 aprile 1988. Nel segno di un’attrazione fatale stregata dalla luna, Paul Newman premia la Cher desnuda come miglior attrice protagonista, Marlee Matlin (dopo la terapia) pronuncia a suo modo il nome di Michael Douglas alias Gordon Gekko, Olympia Dukakis esulta augurando ogni bene al fratello Michael (sfidante democratico di Bush senior alle imminenti presidenziali) e Jack Lemmon consegna a Billy Wilder l’Irving Thalberg Award. Ma è L’ultimo imperatore a regnare ai piedi del colle di Hollywood, conquistando nove premi Oscar su nove candidature e meritando lo straordinario en plein.
Patrick e Jennifer presentano i candidati all’Oscar per la miglior colonna sonora originale: George Fenton & Jonas Gwangwa (per Grido di libertà), John Williams (per L’impero del sole), Ryuichi Sakamoto & David Byrne & Cong Su (per L’ultimo imperatore), ancora John Williams (per Le streghe di Eastwick) e «Ennio Morrione» (per Gli intoccabili). Morrione, già. Quel Morrione sconfitto l’anno precedente con The Mission, ancor prima con I giorni del cielo, poi con Bugsy e con Malena ma risarcito definitivamente nel 2007. La buon’anima riposa in pace per sempre, ma lo spettatore intuisce subito che Swayze non conosce affatto il compositore (e né tantomeno ha partecipato alle prove generali che si tengono il giorno prima, per esercitarsi appunto nella lettura dei candidati).
Un’ovazione accoglie l’apertura della busta e la vittoria di Ryuichi Sakamoto e David Byrne e Cong Su. Giappone e States e Cina si ritrovano uniti insieme sul palco a onorare e ringraziare il Maestro Bertolucci. Ma se Sakamoto e Byrne impiegano pochi simpatici secondi a testa per ringraziare l’Academy e il regista e Jeremy Thomas, l’anonimo di nome Cong Su si dilunga invece in uno speech rigorosamente in cinese, costringendo Byrne a tradurlo con foglietto alla mano (come avrà modo di realizzare Bill Murray in Lost in Translation, 15 anni dopo, lunghi secondi di lingua cinese o giapponese si traducono quasi sempre in una o due parole in lingua inglese, non di più). Una sproporzione per tal Cong Su il quale, rispetto al lavoro geniale di Sakamoto e Byrne, è oltretutto una presenza quasi ingiustificata in nomination, siccome autore per L’ultimo imperatore di un unico solo brano, dal titolo «Lunch», per giunta insignificante e non a caso utilizzato nel film solo nella breve scena in cui il brodo di tartaruga bolle per il piccolo Pu Yi.
I vincitori e i nominati della 60a edizione dei premi Oscar, dal sito ufficiale dell'Academy
La clip di Patrick Swayze e Jennifer Grey, dal canale YouTube ufficiale dell'Academy