La sezione principale del Concorso del 32Tff si è aperta con l’ambizioso Gentlemen, dello svedese Mikael Marcimain (era già stato in concorso nel 2012 con Call Girl).
Siamo a Stoccolma, nel 1979. Uno scrittore, nascosto in un appartamento, si mette alla scrivania per scrivere un riadattamento de “La camera rossa” di Strindberg: il padrone di casa che lo ospita, Henry Logan, è una sorta di Gastby dal fascino misterioso e ambiguo. In poco tempo lo introduce a un mondo pieno di misteri, strane occupazioni e traffici pericolosi. Sì, perché Henry suona il piano, fa il pugile, ha successo con le donne, insieme ai membri di un’associazione segreta scava da parecchi anni nei sotterranei della città alle ricerca dell’oro nascosto, si dice, da un ex re svedese, consegna passaporti falsi oltre la “cortina di ferro” e ha un fratello, Leo, celebre poeta che entra ed esce dal manicomio.
Marcimain mira all’elegante e ambiguo affresco storico, quello di una società svedese (ed europea) agitata da contestazioni politiche e fermenti musicali (si suona e si parla tanto di musica in Gentlemen, da Bob Dylan a Elton John, da Bill Evans a Chet Backer), ma le suggestioni, di scrittura e di messa in scena, procedono a ritmo alterno.
Gentlemen non manca di una sua coraggiosa robustezza - sopratutto in un certo richiamo al cinema classico narrazione - peccato che Marcimain, realizzando un vorticoso ibrido di generi - perda spesso il controllo del film (l'impressione è quasi lampante nella seconda parte) e appesantisca la trama con troppi rimandi interni, flashback che virano a un bianco e nero un po' leccato, digressioni e false piste non di rado macchinose.
Decisamente più arioso e leggero – e con assai minori pretese – Big Significant Things di Bryan Reisberg, è un ritratto pieno di humor e disincanto della provincia americana, un'opera prima sui tentennamenti e sulla paura di crescere.
Il diciannovenne Craig (l’Harry Loyd del “Trono di Spade”) sta per comprare casa e andare a vivere insieme alla fidanzata Allison. Per schiarirsi le idee, decide di compiere un viaggio in macchina – la scusa, falsa, è quella di un impegno di lavoro - alla ricerca della più grande stella artificiale, un’attrazione che, da piccolo, aveva visitato insieme al fratello maggiore (una foto sul cruscotto li ritrae sorridenti e pieni di riccioli).
Lungo il tragitto gli capitano strane avventure e incontri: alla fine scoprirà che in certe zone dell’America contemporanea (qui si parla in particolare di Mississipi, Alabama, Georgia), il ricorso al gigantismo (a Craig capita di visitare il più grande secchio di cedro, la più grande padella, la più grande sedia a dondolo, e ogni volta è l’occasione per un selfie di ricordo), si scontra con le “piccole” e ingenue ambizioni quotidiane delle persone che, tappa dopo tappa, conosce (i teenager che si fanno una birra a bordo di una piscina sporca, gli avventori di un pub semideserto e malinconico che ascoltano pessima musica).
Novello Magellano, come a un certo punto viene chiamato, Craig circumnaviga metaforicamente i territori ancora incerti e ondivaghi della maturità, nella speranza di capire se è davvero intenzionato ad andare incontro al futuro che lo attende. Un po’ commedia giovanilistico-generazionale, svagato ma anche innocuo road movie, Big Significant Things ridicolizza l’assurdo mondo della provincia americana e i suoi spazi senza storia, ma lo fa con generosa indulgenza: le facce che la popolano, sotto sotto, hanno qualcosa da dire anche a noi.