È una bella storia lunga questa che passa da un libro a un film. Il libro, Le Mage du Kremlin, è stato scritto da Giuliano Da Empoli. È un romanzo storico e politico pubblicato in francese nel 2022 da Gallimard e poi da Mondadori. Il romanzo ha vinto il Grand Prix du Roman de l’Academie FrançaIse ed è arrivato secondo al Prix Goncourt. La sceneggiatura del film è del regista Olivier Assayas e del romanziere e sceneggiatore Emmanuel Carrère, che è già stato da quelle parti con il suo bel Limonov.
Romanzo e film seguono puntigliosamente le cronache della costruzione di un altro potere totalitario, dopo il precedente sovietico scomparso. Si va dall’ultimo Eltsin al primo non sovietico e tuttora regnante, Vladimir Putin (che infatti viene riverito come “lo zar”...).
Dall’inizio della prima parte del film fino alla sua ultima, questo “Mago del Cremlino” non tira mai il fiato. È un inesorabile susseguirsi di confronti e di affronti, di ordinati o disordinati colloqui, di accumuli, maniacali provocazioni, tanto che qualcuno può proclamare con orgoglio che “il kitsch è l’unico linguaggio che abbiamo”.
Evidente è il continuo gioco manipolatorio che scorre, scena dopo scena, sempre in piena, con discorsi su discorsi, tanto che è stata avanzata al film l’accusa di essere troppo pieno, fino all’orlo e oltre. Due ore e dieci densissime dove c’è da sperdersi. Ma si può anche capire tutta questa agitazione tenuto conto del fatto che si sta assistendo a una transizione politica – di malapolitica – in grande stile e le confusioni, le contrazioni, le impennate e gli inabissamenti sono all’ordine di ogni giorno a ogni minuto. Si tratta infatti di prendere e buttar via un’epoca e di sostituirla con un’altra, molto diversa ma al tempo stesso molto uguale. Uguale nella decisione fondante ed eterna della rinascita di un potere indiscutibile e più che solido.
I protagonisti della svolta sono: Vadim Baranov (Paul Dano) che diventa il fidato consigliere dell’oligarca Boris Berezovskij che controlla il Primo Canale della tv; c’è la pedina più importante, il capo dei servizi segreti, ex KGB, Vladimir Putin (Jude Law) che sale velocemente la scala e si piazza al primo posto, portandosi dietro il meritevole Baranov; e c’è anche spazio per la bella Ksenia (Alicia Vikander).
Sarà davvero il film forzato, provocante e troppo zeppo di tutto, ma un’analisi così lucida dei cambiamenti e delle persistenti caratteristiche dirigiste e dittatoriali sempre in auge nella prima e in questa seconda Russia non l’abbiamo mai vista.