Concorso

The Voice of Hind Rajab di Kaouther Ben Hania

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Inizia su un terrazzo The voice of Hind Rajab: uomini e donne che scherzano durante una pausa dal lavoro, alcuni indossano una giacca a vento rossa, qualche risata, nessun suono. È l’unica scena in cui si vede “fuori” nel film di Kaouther Ben Hania che, forte del successo globale ottenuto con Quattro figlie e la candidatura all’Oscar, arriva in concorso a Venezia con i nomi di Brad Pitt, Joaquin Phoenix, Rooney Mara, Alfonso Cuaron accreditati nei titoli di coda come produttori esecutivi. Un sostegno che è una dichiarazione di intenti, ulteriore conferma di un posizionamento sempre più esplicito del mondo cinematografico rispetto al conflitto israelo-palestinese, al centro di questa Venezia da prima ancora che iniziasse.

Il film racconta la storia di Hind Rajab, la bambina palestinese divenuta uno dei simboli del massacro della popolazione civile nella striscia di Gaza; e la voce alla quale il titolo si riferisce è proprio la sua, registrata nel gennaio 2024 dal pronto intervento della Mezzaluna rossa che la cugina era riuscita a chiamare appena prima di morire lasciandola sola, intrappolata nell’auto in cui si trovavano con i loro familiari, tutti uccisi dall’esercito israeliano. Montando la registrazione originale della telefonata (quella che sentiamo per tutto il film è la vera voce di Hind già all’epoca diffusa parzialmente sui social), con la rappresentazione finzionale del quartiere generale dell'organizzazione umanitaria, la regista si lancia in un'impresa piena di insidie.

Se il cinema è - ancora e sempre - “una questione di morale”, pensare alla relazione tra messa in scena e reale come fa qui Ben Hania - riprendendo il discorso sull’ibridazione dei linguaggi e delle forme del film precedente - vuol dire prendersi un rischio enorme. Ma la scelta è chiara e l'intento di coniugare un uso politico del dispositivo con la volontà di indagare le ripercussioni più intime e private di quella dimensione, è affrontato con consapevolezza attraverso un lavoro di semplificazione estrema rispetto a Quattro figlie. Rendendo esplicito, essenziale e drammaticamente trasparente il costrutto, Ben Hania - che alla conferenza stampa veneziana indossava una spilla con la semplice scritta enough a sintetizzare il senso profondo dello sgomento di fronte a quanto quotidianamente accade nei territori occupati - trova infatti il modo di evitare le trappole della retorica e del ricatto emotivo cercando di stare sui fatti e ponendosi l'obiettivo, "semplicemente", di amplificare la voce di Hind.

Chiudendo il film tra quelle quattro mura in cui la voce della bambina irrompe, lasciando tutto fuori campo e affidando l'abissale irrappresentabilità del reale alla sola dimensione sonora, la regista costruisce il suo dialogo tra realtà e messa in scena. Così il film inizia come pura narrazione, presentando i pochi personaggi dentro a una scenografia ridotta ai minimi termini, accennando appena a una loro caratterizzazione, per poi lasciar scivolare il racconto verso il re-enactement, con gli attori che ricostruiscono le operazioni di soccorso parola per parola. Si avanza, chiusi dentro, nel racconto della lotta contro il tempo e contro le estenuanti procedure del protocollo per poter operare in sicurezza mentre sulla scena prende forma concreta l'idea stessa di impossibilità: una serie di azioni che si ripetono all'infinito, senza senso, come un percorso che ritorna sempre al punto di partenza tracciato da un pennarello sul vetro, come uno spostamento pianificato su una mappa che proietta sul muro una città che non esiste più, dove le macerie hanno cancellato gli incroci, le case, le vite di coloro che rimangono solo una fotografia appesa a un muro. 

E poi il film si sposta ancora e si avvicina al documento con le immagini dei veri protagonisti della storia a sovrapporsi ai loro doppi finzionali per riportare lo spettatore “fuori” e metterlo davanti alle macerie silenziose e irrapresentabili di una realtà cui rischia di essersi abituato con la mediatizazzione continua, pervasiva, quotidiana che la guerra ha assunto dall'invasione dell'Ucraina in poi. Una realtà rispetto alla quale, anche grazie al cinema secondo Ben Hania, è necessario riposizionarsi.