Davey Gordon pensa solo al match che lo aspetta di lì a poche ore: preferisce concentrarsi sulla propria immagine allo specchio che guardare la dirimpettaia Gloria, una bionda sexy che, invece, mentre si prepara a sua volta ad andare al lavoro, si sofferma a lungo su di lui con uno sguardo attento – troppo attento? Entrambi appaiono, grazie alle riquadrature delle finestre, come rinchiusi nella doppia gabbia delle rispettive vite. Il destino farà sì che l’iniziale disinteresse del boxeur si trasformi in un sentimento per il quale affronterà l’incubo-noir dei tre giorni successivi, nella speranza di un sì e di un abbraccio. Che arriverà, carico di promesse... Nulla di ciò che è accaduto può garantire un “per sempre”, ma per Davey non è un problema. Lo ha detto nel monologo iniziale, prima di quel flashback che è il film stesso: non va capito il come e il perché dei guai in cui ci mettiamo, la vita non va presa troppo sul serio.
Trascorsi 44 anni da questa opera prima (o almeno da lui riconosciuta tale), nella scena finale della sua opera ultima e postuma Kubrick ci mostra Alice che si rivolge al dr. William Harford suo marito per ricordargli che il suo (loro) pauroso sogno è finito: entrambi sono svegli e ciò che conta è che lo restino a lungo (“per sempre” la spaventa). Il destino li ha portati a questa conclusione: non va capito, ma solo ringraziato, per tornare a scopare il prima possibile.
Un cerchio si è chiuso.