Spartacus è una meravigliosa storia della vecchia Hollywood. Una produzione della Universal che avrebbe dovuto essere la più costosa di sempre; un kolossal storico girato quasi integralmente in America, invece dell’allora abituale Cinecittà; per Kirk Douglas, protagonista, produttore esecutivo e responsabile della chiamata di Kubrick dopo l’iniziale allontanamento di Anthony Mann, un elogio del diritto di ogni popolo a essere libero; per il socialista ed ex lista nera Dalton Trumbo, sceneggiatore, la rappresentazione di una necessaria lotta contro l’estrema destra americana; per Kubrick, allora giovane regista, un’occasione per mettere alla prova il suo talento con gli strumenti più belli e cari del mondo, finendo per farsi odiare tanto dal protettore Douglas quanto dal direttore della fotografia (e che direttore!) Russel Metty e dai signori della Universal… Persero praticamente tutti, compreso lo stesso Kubrick, che per quanto lì per lì sul set la spuntò quasi sempre, imparando come fosse possibile aggirare il sistema degli Studios, in seguito arrivò a disconoscere il film e, soprattutto, non poté nulla per evitare che, nonostante i doverosi distinguo, anche Spartacus venisse allineato alla produzione epica del momento.
Rivisto oggi, vive inevitabilmente della luce riflessa del resto dell’opera del regista, soprattutto di ciò che l’ha preceduto (la visione antiromantica della guerra di Orizzonti di gloria) e un po’ meno di ciò che l’avrebbe seguito, che ha poco a che fare con la tanto elogiata “geometricità” delle scene di massa, come se La caduta dell’impero romano o La regina delle piramidi li avessero diretti due dilettanti. La grandezza del film, come dei migliori kolossal di quella Hollywood morente, sta nel gigantismo del sogno di impossessarsi della storia romana come immagine specchiata e distorta dell’impero americano: un elemento che qui viene declinato in una versione pauperista e pseudo-rivoluzionaria che fa di Spartaco un eroe socialista e addirittura pre- cristiano…
Meglio ripensare ad altri Kubrick, insomma.