Il Napoleon di Kubrick, un film che nemmeno il più cinefilo dei cinefili ha mai visto, per il semplice fatto che non esiste. Rimangono però, negli archivi londinesi che accolgono le carte e i materiali del regista americano, le tracce cospicue di un grande progetto cinematografico, vagheggiato fin dal 1967, portato ad uno stadio avanzato di elaborazione, ma interrotto da MGM per logiche di opportunità commerciale nel 1970 – era uscito Waterloo di Sergeij Bondarchuk, che dal canto suo aveva stregato le platee internazionali con il suo monumentale Guerra e pace – e ripreso poi con United Artists, con un continuo avvicendamento di star nell’ipotesi di cast. Un film mai fatto, un film che sopravvive su carta, migliaia di foto di documentazione, delle decine di sopralluoghi, delle centinaia di dipinti, degli angoli pittoreschi, degli alberi secolari, delle indicazioni testuali e musicali, un’ossessione bulimica che non andò sprecata, come possiamo ben testimoniare, ma fu convogliata in Barry Lyndon, tratto da Thackeray. Da un romanzo, appunto, come tutti i film di Kubrick dal 1956 in poi: adattamenti, spesso infedeli, come sappiamo bene, ma pur sempre adattamenti. Adattare l’epopea bigger than life del Corso era forse un’impresa impossibile, nei termini kubrickiani. Un’impresa forse mai davvero accantonata, di cui rimane un racconto per immagini (pubblicato da Taschen), il romanzo colossale di un kolossal mai girato.