Due film americani visti a Locarno nei giorni scorsi giocano sui confini tra i generi, mischiando e sovrapponendo comicità ed esplosioni di dramma e/o di orrore. In entrambi i casi, la follia dei personaggi, la loro instabilità psicologica, i loro problemi di personalità possono ora risolversi in gag demenziali e far emergere i lati assurdi della realtà, ora dar luogo a improvvise virate verso la violenza.
Uno di questi è Creep di Patrick Brice (Fuori concorso), nel quale un operatore video viene ingaggiato in una località sperduta da un tizio che, dicendo di essere malato di cancro, vorrebbe lasciare (come Michael Keaton in My life) una testimonianza video al figlioletto. Nel prosieguo della giornata Jason, il padrone di casa, si comporta in modo sempre più strano, mentre Aaron, l’operatore, percepisce i pericoli della situazione e vorrebbe andarsene (ma siamo sicuri che sia Aaron quello “normale”? Alle spalle di Jason, lo vediamo mentre mette qualcosa nel whisky). Il film di Brice, che ci mostra i video girati dall’operatore, è un’ulteriore – e brillante – variazione sul tema del found footage movie. È un gioco che diverte (con qualche spavento) per 80 minuti, lasciando però il sospetto di una certa gratuità.
Più compiuto è parso Buzzard di Joel Potrykus (nella sezione Cineasti del presente) che racconta di un impiegato a tempo determinato di una grande banca. Anziché lavorare, passa il tempo a escogitare piccoli sistemi per “fregare” il sistema (ordina costosi oggetti di cancelleria sul posto di lavoro che si fa poi rimborsare come acquisti personali). Finirà per mettersi nei guai quando si intesta alcuni assegni di rimborso delle tasse non riscossi dai legittimi proprietari.
La vicenda si sviluppa in un crescendo di follia non privo di elementi disturbanti e di qualche accento horror (nel corso del film riappare più volte un guanto alla Freddie Kruger che, alla fine, verrà anche usato). A prevalere è però la comicità – una comicità nera e assurda – che si snoda in esilaranti scene incentrate sull’idiozia dei personaggi (quando il protagonista e il collega di lavoro – interpretato dallo stesso regista – che lo ospita in casa provano a ricreare nella realtà le situazioni dei videogiochi, per esempio, con un tapis roulant e delle patatine) e in insistiti dialoghi in cui questa idiozia fa esplodere le assurdità e le contraddizioni del “sistema” (come quello iniziale sulle regole per godere dei benefici dell'apertura di un nuovo conto corrente).
Il tema centrale del film riguarda proprio gli spazi di libertà che un individuo può conservare in un contesto dominato da grandi organizzazioni che regolano ogni aspetto dell’esistenza. Lo spettatore è costretto a specchiarsi in questo personaggio stupido e disturbato, trovando in lui il paradossale “eroe” che cerca di difendere un margine di libertà rispetto alle costrizioni di organizzazioni pervasive. Nella scena degli spaghetti si realizza questo rispecchiamento: lo spettatore ride del modo disgustoso in cui il protagonista mangia e il protagonista ride di non si sa quale programma televisivo fuori campo (ma – si potrebbe dire – ride in realtà dello spettatore…).