Siamo in Russia. Un idraulico si accorge che in un edificio nel quale vivono 800 persone ha problemi di stabilità ed è sul punto di crollare. Convincere i vertici amministrativi a prendere i necessari provvedimenti si rivela, però, impresa assai complicata.
Si potrebbe definire Durak (The fool) – che nei titoli di coda riporta una dedica ad Alexei Balabanov – come un film “all’americana” (anche se il finale – che qui non riveliamo – segue altre logiche). Il protagonista, uomo comune, ligio al proprio dovere, contrapposto nella sua azione di salvataggio ai suoi superiori incapaci e corrotti, potrebbe essere accostato al Denzel Washington di Unstoppable - Fuori controllo (2010) di Tony Scott, anch’egli impegnato ad evitare una imminente catastrofe, mentre i suoi superiori – più bravi a gestire il potere che ad occuparsi delle loro mansioni – si rivelano inetti e disattenti.
Presentato in un festival, un film come Durak rischia di essere sottovalutato (ma la giuria lo ha segnalato con un meritato premio all’attore Artem Bystrov). È in realtà un film che, pur con qualche eccesso di sottolineatura e di didascalismo, ha diversi elementi di interesse. In primo luogo, è un film che ha un’indubbia capacità di creare tensione e di mantenere il ritmo. In secondo luogo, si rivela interessante per il modo in cui coinvolge il giudizio dello spettatore.
Il suo protagonista è, per buona parte dell’azione, uno spettatore di decisioni, scelte e azioni compiute da altri (in questo finisce per staccarsi dall’uomo comune che diventa eroe del citato film con Denzel Washington). A un certo punto, quando sta per andare ad avvisare i superiori dei rischi che corre l’edificio, il protagonista guarda in camera come a interrogare lo spettatore. A quel punto, è come se lo spettatore entrasse nel film: il protagonista, che assiste passivamente ai conciliaboli tra gli uomini (e le donne) di potere, finisce per essere l’incarnazione dello spettatore del film. Entrambi – protagonista e spettatore – devono capire quel che hanno intenzione di fare i personaggi dotati di reale potere decisionale. Entrambi devono capire di chi ci si può fidare.
In particolar modo, la donna che sta al vertice dell’organizzazione è un personaggio costruito in modo molto intelligente: costantemente sembra essere sul punto di mandare all’aria il sistema di corruzione e di attivarsi per salvare le vite degli abitanti dello stabile, ma si rivela poi incapace di sbrogliare il reticolo di favori reciproci a cui è inestricabilmente legata. L’ambiguità di questo personaggio è un elemento che consente al film di sfuggire alla prevedibilità in cui l’impostazione e il ritmo “americani” sembravano incanalarlo.
Peccato che poi il film calchi invece un po’ la mano in certe scene, in certe sottolineature, come se si fidasse poco dello spettatore e della sua capacità di comprendere. Però è certamente un film di grande tensione e tutt’altro che banale nei suoi risvolti - la descrizione della Russia come una società in cui dominano la corruzione e una competizione selvaggia fondata su un individualismo amorale - e nel modo in cui coinvolge l’identificazione dello spettatore.