God - Dog. Il mondo capovolto di Doug, bambino maltrattato dalla vita, sta tutto nell’anagramma palindromo di quella parola che improvvisamente - in trasparenza - gli rivela la possibilità di sopravvivere alla violenza cui il mondo lo sottopone. Così Doug riesce ad andare avanti, a liberarsi dalla sua famiglia disfunzionale, dalla gabbia in cui lo ha rinchiuso il padre psicotico, dai soprusi del fratello distortamente infervorato di Dio. Soltanto aggirando la brutalità del reale attraverso le alternative che si costruisce da solo Doug riesce a sopravvivere: i cani che il padre sfruttava e affamava diventano la sua famiglia, una scuola abbandonata diventerà la loro casa, la sua amata - che non può amare come vorrebbe - diventa musa ispiratrice, la sua psichiatra diventa la sua liberatrice perché per la prima volta qualcuno lo ascolta. Doug è un bambino ferito, cresciuto con gli animali che si è scelto come figli, come genitori, come infermieri, come guardie del corpo. Un branco che lo sostiene, lo protegge e lo accudisce come dovrebbe fare ogni famiglia e che gli dà la forza di affrontare le difficoltà parossistiche della sua esistenza.
Intorno a questa figura incommensurabilmente tragica (“se sai recitare Shakespeare, sai recitare qualunque cosa”, dice Doug), vittima ma allo stesso tempo artefice del proprio destino, Besson costruisce un racconto carico, eccessivo, fumettistico eppure pieno di empatia, di dolcezza e di dolore. Un racconto che si apre con la cattura di Doug, una parrucca bionda, un abito rosa a sirena ad avvolgere il suo corpo martoriato, un furgone pieno di cani di tutte le razze e dimensioni e una pacatezza inquietante e inamovibile. A partire dal racconto che lo stesso Doug fa alla psichiatra che lo assiste - affine a lui più di quanto non vorrebbero le apparenze - Besson struttura il film tra passato e presente, in un andirivieni che si muove tra evocazione e realtà, tra parola e immagine, tra confessione ed esibizione, consegnandolo per intero nelle mani di Caleb Landry Jones, capace di tenere a bada un personaggio rischiosissimo, di contenerlo, di sfumarlo, di non lasciarlo mai sbracare. Un po’ Mowgly, un po’ pifferaio magico, un po’ martire, un po’ vendicatore, un po’ supereroe, un po’ villain, Doug trova il modo di sopravvivere proprio grazie alla capacità che ha sviluppato di piegare la realtà ad altre regole provando a ripensarla, a manipolarla, a traverstirla attraverso le infinite maschere che si possono indossare per sopportare meglio ciò che non si vuole vedere, chi non si vuole essere. Per mettersi in scena senza per questo tradire il proprio essere, forse solo per conoscersi meglio.
Così, attraverso le cose che studia e che insegna ai suoi cani, attraverso i tutori che imbrigliano le sue gambe ma che gli consentono di stare brevemente in piedi, attraverso la costruzione del suo spazio vitale tra tentativi di normalizzazione e altri di dissimulazione Doug sfida la vita e quel destino di sciagure che Dio sembra avergli accollato. Anche e soprattutto grazie alla forza che trae dai suoi cani Doug sfida Dio e il mondo, sapendo fin dall'inizio che è una sfida impari. Dogman è il racconto di questa sfida.